Mario Valpreda, veterinario, è responsabile alla Sanità Pubblica della Regione Piemonte.

Possiamo ripercorrere la vicenda della mucca pazza partendo dalla scoperta della malattia?
Nel 1985 nella contea di Kent un veterinario inglese aveva osservato nell’allevamento una vacca che aveva una sindrome neurologica particolare, in quanto alternava a fenomeni di incoordinazione muscolare, fenomeni depressivi e momenti di aggressività. Avendo capito che si trattava di una sindrome neurologica diversa dalle solite, di natura tossica o parassitaria, decise di fare l’autopsia. Scoprirono così che nell’encefalo erano presenti lesioni riferibili a delle encefalopatie peraltro già note. Nel frattempo però si erano riscontrati altri casi, per cui si trattava di un episodio che superava l’occasionalità del momento; la malattia venne definita “encefalopatia spongiforme”, perché la caratteristica della lesione era la presenza di vacuoli del cervello, che da un lato spiegavano tutta la sindrome neurologica e dall’altro rendevano l’organo simile ad una spugna. In seguito la malattia ha preso un andamento epidemico, pur senza evidenze di trasmissibilità da animale ad animale. Durante le indagini è emerso il sospetto che ci fosse una causa di origine alimentare, legata al fatto che alla fine degli anni ‘80 era cambiato il modo di produrre le farine di carne. Queste venivano ora prodotte, in gran parte, riciclando gli animali morti e venivano somministrate non solo ai bovini, che sono erbivori, soprattutto alle vacche da latte come integrazione proteica, ma anche e da sempre agli allevamenti avicoli e suinicoli.
Bisogna poi sapere che in Inghilterra era nota da duecento anni una malattia nervosa delle pecore che aveva delle lesioni simili, che si chiamava scrapie, dall’inglese “scrape” che vuol dire prurito, perché uno dei segni nelle pecore infette era questo prurito. Ebbene, proprio le pecore infette -l’Inghilterra ha un forte patrimonio ovino- da sempre costituivano uno degli apporti forti per la produzione di queste farine di carne.
Una delle cause scatenanti potrebbe essere stato un provvedimento della Thatcher preso in periodo di crisi energetica. Può raccontarci?
Inizialmente, le farine di carne venivano prodotte trattando le carcasse animali ad alte temperature nel processo di polverizzazione. In quel periodo però era intervenuta la crisi energetica che aveva comportato, sempre all’insegna del profitto, lo studio di sistemi per risparmiare gasolio. Così si cercò di operare con minor apporto di combustibile e quindi a temperature più basse. E’ stata formulata l’ipotesi che l’agente eziologico della scrapie sopravvivesse a questi bassi trattamenti e che la malattia abbia così oltrepassato la barriera di specie.
Nel frattempo Prusiner, uno scienziato americano, premio Nobel, aveva trovato l’agente eziologico di queste malattie neurologiche identificandolo nel prione (una specie di proteina degenerata capace di trasmettere questo suo percorso “sovversivo”, per cui la malattia si trasmette rapidamente da tessuto a tessuto all’interno dello stesso individuo determinando poi questi segni a livello di sistema nervoso).
Ebbene, individuata la causa, immediatamente è scattata la sospensiva di blocco delle farine di carne. Allora, con la legge venne stilata anche una previsione epidemiologica secondo la quale, eliminata la causa, la malattia si sarebbe ridotta inevitabilmente.
All’inizio comunque non c’era alcun sospetto di trasmissione all’uomo; era considerato un problema di sanità animale e neanche particolarmente grave, perché è vero che c’erano tanti episodi, ma individuali, nei singoli allevamenti. Il fatto è che questa malattia ha un lunghissimo periodo di incubazione, per cui non è emerso un immediato rapporto causa-effetto tra il mangiare farine infette e la presenza della malattia nell’animale.
Inoltre, questi prioni si localizzano in quantità molto diversa da tessuto a tessuto; sono localizzati prevalentemente nell’encefalo, nel midollo spinale, nell’ileo, nelle tonsille, negli occhi, per cui nel prodotto finale sono presenti in quantità variabile.
Nel frattempo però la Signora Thatcher aveva anche depotenziato i servizi pubblici e, esaudendo quella che da tempo era una richiesta di tutto il mondo produttivo, aveva introdotto la deregulation, pensando che il mercato potesse essere un regolatore sociale della produzione. Ipotesi clamorosa che in questo caso è risultata dannosissima. Perché fatto i ...[continua]

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