Vittorio Foa (Torino, 1910) dopo la Resistenza è stato deputato alla Costituente per il Partito d’Azione. Dirigente della Cgil, è stato parlamentare socialista e poi senatore del Pds. Tra i suoi ultimi libri: Lettere della giovinezza. Dal carcere 1935-1943, Einaudi, 1998 e Passaggi, Einaudi, 2000.

Molti nel centrosinistra sottolineano i rischi che il paese, e finanche la democrazia, correrebbero in caso di vittoria della destra. Tu come vedi la situazione?
Più che gli eventuali colpi che, stando alle stesse intenzioni dichiarate del centrodestra, saranno portati al nostro sistema di garanzie democratiche, e rispetto ai quali sicuramente dovremo essere pronti alle resistenze più dure, mi impressiona tantissimo l’aspetto diseducativo che la destra ci sta offrendo. Io penso che la politica sia molte cose: è governo della cosa pubblica, è affermazione di ideali e di valori, ma è anche educazione civile. Quello dell’uomo politico è un linguaggio che “forma” e allora la parola violenta, ingiuriosa, l’aggressione verbale, minacciano facilmente di diventare poi azione. Quindi l’esempio in politica è decisivo, può sembrare una cosa secondaria, invece è decisivo.
Ma fra i pericoli qual è quello che reputi più preoccupante?
Il centro sinistra ha polemizzato molto sull’alleanza di Berlusconi con la Lega. Ora, nonostante quello che dicono a Berlusconi i miei amici del centro sinistra: “la Lega ti tradirà” (come, fra l’altro, se noi dovessimo preoccuparci se Berlusconi verrà tradito dalla Lega) quello che sta avvenendo è tutt’altra cosa: la Lega potrà anche cedere i suoi voti a Forza Italia, ma politicamente sta vincendo. Io, ad esempio, trovo pericoloso che Forza Italia abbia promosso iniziative politiche avanzate dalla Lega.
Mi colpiscono due aspetti: l’indeterminazione (ed è molto più di una indeterminazione) di Forza Italia verso l’Europa, che talvolta riproduce modelli leghisti; il carattere secessionista del federalismo berlusconiano e leghista.
Quando il centrosinistra si è deciso finalmente a votare una legge costituzionale per il federalismo, Bossi ha protestato subito contro atteggiamenti di disponibilità graduale, contro chi diceva “è un passo avanti”, e immediatamente Berlusconi, che vanta di controllarlo, gli è andato dietro: hanno così rifiutato di votare e hanno tentato di proporre un referendum abrogativo.
La tendenza, soprattutto nel Veneto, e in parte in Lombardia, sembra volta alla divisione dell’Italia e a un disimpegno europeo.
Ecco, per ricollegarmi alla premessa iniziale: il linguaggio che viene usato, il tipo di politica adottata, contengono elementi di imbarbarimento preoccupanti, proprio perché hanno un valore esemplare. Tutto questo potrà creare condizioni a cui non siamo abituati.
Detto questo, credo che la difficoltà, nostra più che dalla destra, dipenda dal fatto che la nostra azione è tutta rivolta a dire che ci dobbiamo difendere dalla destra, chiedendo i voti per difenderci dalla destra. Insomma, non ci proponiamo nulla e questa è una grande debolezza. Ci sono dei problemi su cui noi dovremmo certamente confrontarci con la destra, ma soprattutto con il nostro paese, con il mondo in cui viviamo, che sono indipendenti da quello che vuole Berlusconi. Berlusconi è uno che c’è, ma prima o poi passerà, noi ci siamo e vogliamo rimanere, per cui i problemi vanno affrontati.
Entriamo un po’ nel merito di questi problemi.
Mi pare che la convinzione, ormai diffusa, che ci fosse un pensiero unico sia entrata in crisi. Il pensiero unico non c’era, ma ci si comportava come se ci fosse: erano tutti d’accordo che bisognava “risanare”, “stabilizzare”, “allargarsi”. Oggi ci stiamo accorgendo che il mondo non può risolvere i suoi problemi semplicemente allargandosi. Non c’è dubbio che bisogna avere delle visioni globali, ma le alternative non sono tra l’allargarsi al mondo e il rinchiudersi nel proprio giardino. Le alternative sono dentro ciascuna di queste ipotesi, dentro la globalizzazione come dentro la localizzazione.
Prendiamo un esempio che mi colpisce molto: una delle parole chiave della globalizzazione è la competitività, tutti sono per la competizione. Allora, io sono convinto che la competitività sia utile e necessaria, perché vuol dire confronto, qualità, sviluppo.
Però, quando mi guardo attorno e osservo cosa succede nei grandi movimenti finanziari, bancari, assicurativi, vedo che è in atto un processo di grande concentrazione; nascono i “cartelli”; soprattutto pe ...[continua]

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