Negli Stati Uniti, il dibattito su liberalismo e repubblicanesimo, animato da pensatori di prima grandezza come John Rawls o Michael Walzer, è molto vivo. Come mai tu hai deciso di pubblicare gli scritti di Piero Gobetti, un autore che ha quasi un secolo?
In un certo senso l’idea del libro di Gobetti nasce da una ragione ‘patriottica’. Mi rincresce che nel mondo anglosassone la migliore cultura politica italiana sia cosí poco conosciuta. Oltre ovviamente a classici come Machiavelli e Beccaria, negli Stati Uniti è molto conosciuto Gramsci, sono relativamente conosciuti Croce e Bobbio, ma completamente sconosciuto è Gentile (tra l’altro il primo ad aver coniato il termine totalitarismo). Fino a poco tempo fa sconosciuti erano anche Rosselli e Gobetti, che sono invece fondamentali nel pensiero politico italiano del Novecento. Gobetti è un autore che ha molto da dire al liberalismo contemporaneo, anche a quello di lingua anglosassone, il quale spesso considera il liberalismo non come un’ideologia ma come un’entità ideale metastorica. Quel che è prevalente nella cultura politica anglosassone, infatti, è una concezione del liberalismo inteso come ‘visione vincente’, come l’identità della modernitá tutta, e si tende a dimenticare che il liberalismo ha una storia, che è nato ed ha prosperato in contesti specifici. Soprattutto, nell’Occidente angloamericano non ci si pone il problema di una sua eventuale eclissi o sconfitta. Partendo da queste considerazioni, ho pensato che fosse importante tradurre Gobetti in inglese, cercando di mostrare i caratteri che il liberalismo può prendere, e ha preso, in un paese nel quale esso non è una visione egemonica del mondo. Nell’Italia dei primi decenni del ‘900, il liberalismo, quello di Gobetti in primo luogo, aveva la percezione chiara della propria sconfitta imminente e ha compreso la necessità di allearsi con altre forze e ideologie. Partendo di qui ho mostrato il rapporto di Gobetti, da un lato con le ideologie socialista e comunista, e dall’altro con quella repubblicana. Gobetti cercò infatti di radicare il liberalismo sul repubblicanesimo e questo radicamento rende il suo liberalismo diverso da quello anglosassone, perché non è fondato sull’idea dei diritti naturali metastorici, ma, al contrario, è storicistico, fondato cioè sull’idea dei diritti come vindication, ossia come poteri conquistati, ma anche facili da perdere, che quindi richiedono un attivismo permanente. Il liberalismo di Gobetti, inoltre, è basato su una concezione conflittualistica della società e su una visione etica della politica, che ha per lui, come per i repubblicani, un valore di libertà, contrariamente al liberalismo anglosassone, il quale tende invece a considerare la politica quasi sempre come un disvalore, o un male necessario.
Certo, Gobetti sottolinea che, nei paesi anglosassoni, le idee liberali affondano le loro radici nella Riforma protestante, ma afferma anche che quella protestante non è l’unica radice del liberalismo, che infatti ha molteplici origini in relazione ai diversi contesti storici. Per esempio, egli afferma che un paese cattolico e restio ad accogliere il liberalismo come l’Italia ha tuttavia avuto il corrispondente della Riforma protestante, solo che in questo caso la riforma non ha interessato il mondo religioso, ma invece la società civile e il mondo politico. Gobetti cita a questo proposito non solo Machiavelli, Beccaria e la tradizione del pensiero politico repubblicano, ma anche l’esperienza dei Comuni nel Medioevo caratterizzati dalla nascita della borghesia che si fa governo della società. Gobetti addirittura afferma che, con questi pensatori e queste esperienze, l’Italia ha anticipato la modernità.
Delineando questo percorso, Gobetti giunge in qualche modo a un esito simile a Weber, nel senso che egli comprende c ...[continua]
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