Donatella Della Porta insegna all’università di Firenze, Dipartimento di Scienze della Politica.

Lei sta facendo una ricerca sul movimento new-global. Ci può dire quali sono, secondo lei, le caratteristiche nuove di questo movimento…
Il discorso sulla novità dei movimenti è sempre difficile da affrontare perché in genere anche i movimenti tendono a costruirsi sul passato, quindi ci sono senz’altro molti aspetti di continuità, altrettanto interessanti da mettere in evidenza rispetto agli elementi di novità. Dal punto di vista dell’innovazione direi che la novità forse più rilevante è la capacità di mettere in rete, di collegare delle identità molto diverse dal punto di vista sia organizzativo sia di classe sociale, sia generazionale, e che in passato si erano espresse attraverso movimenti, proteste, strutture organizzative diverse, qualche volta anche con qualche tensione tra loro. Per esempio, in passato tra il movimento ambientalista e i sindacati c’erano stati anche momenti di tensione, quando i temi della protezione dell’ambiente venivano contrapposti allo sviluppo e all’occupazione. Nel movimento c’è una grande attenzione al sud del mondo e ci sono movimenti nel nord del mondo che cercano di sviluppare un collegamento: da questo punto di vista anche in passato c’erano movimenti che si dicevano internazionalisti e cercavano di mettere in collegamento parti del mondo diverse, però in questo caso la consapevolezza che l’azione sui temi della globalizzazione debba essere globale, mi sembra molto più forte. Un altro dato interessante, in relazione ai movimenti del passato, è che negli anni Settanta erano emersi alcuni movimenti, come quello delle donne e quello ecologista, che erano stati definiti post-materialisti, perché ritenevano prioritari temi come quello delle libertà, della difesa della soggettività rispetto al problema della giustizia sociale, che forse sentivano un po’ in via di risoluzione. Adesso invece in questi movimenti si è creato un ponte, un’interazione tra i temi classici della sinistra tradizionale, in particolare la giustizia sociale, e temi che erano stati avanzati da movimenti sociali nuovi, in particolare la ricerca di forme nuove di democrazia.
E’ interessante vedere anche come queste diversità vengono percepite dall’interno del movimento e dalle diverse anime e aree in cui il movimento si articola, come una ricchezza. Anche in passato i movimenti sociali erano stati caratterizzati dalla compresenza di identità diverse, però c’era stata sempre un’aspirazione a una unicità, alla ricerca di una struttura organizzativa unitaria e, soprattutto, di un’identità unitaria. Ora invece tutto ciò sembra superato da un’accettazione della molteplicità come espressione positiva per il movimento.
L’elemento di continuità che anche la nostra ricerca ha individuato consiste nel fatto che questo movimento mette insieme un attivismo, una partecipazione politica, che si erano espressi già in passato. Le persone che abbiamo intervistato, che avevano partecipato alla manifestazione di Genova o anche ad altre successive, sono persone che avevano vissuto in passato esperienze in diverse realtà associative, da quelle di tipo solidaristico, le organizzazioni del cosiddetto terzo settore, le associazioni di volontariato, ad associazioni legate più ai movimenti sociali, delle donne, dell’ambiente. E questo anche è interessante: sempre di più le manifestazioni vengono promosse da centinaia e centinaia di sigle.
A Genova la protesta contro il G8 era stata promossa da un grande cartello di circa 800 organizzazioni. Un aspetto interessante è che queste organizzazioni sono anche estremamente eterogenee come forme d’azione, come strumenti organizzativi, ma riescono -e questa è una novità- a incontrarsi, a mettersi in rete, spesso anche utilizzando la cosiddetta “rete delle reti”, internet, per entrare in contatto, privilegiando, appunto, un’identità molteplice ma coordinandosi su alcuni temi centrali per il movimento.
Anche una certa confusione, chiamiamola ideologica, si può ricondurre a questa pluralità? La confusione del nome, ormai evoluto da “no” a “new”, in qualche modo testimonia una complessità della realtà, per cui si è tutti un po’ amanti delle differenze, ma allo stesso tempo ancora tutti molto universalisti…
Nelle interviste che abbiamo fatto con gli attivisti c’è sembrato che emergesse in maniera abbastanza chiara che il “no” è una componente molto minoritaria del movimento. Non a ca ...[continua]

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