Valentina Pasquali, bolognese, è laureata in Scienze della Comunicazione.

Hai partecipato alla campagna elettorale di Kerry, puoi raccontarci la tua esperienza? Innanzitutto com’è nata l’idea e come l’hai attuata?
L’idea l’avevo già da tempo ma a sollecitarla è stato il relatore della mia tesi di laurea. Mi ero laureata a luglio per cui l’autunno mi è sembrato un buon periodo per prendermi una pausa e partire.
Ho contattato un professore dell’University of California di Berkeley, col quale avevo studiato campaign strategy (io ho studiato a Berkeley come exchange student) e gli ho chiesto di darmi una mano. Lui, peraltro repubblicano, ma abituato, a Berkeley, a stare in mezzo ai democratici, mi ha fornito alcuni nominativi, coi quali mi sono messa in contatto durante l’estate. Così, a fine agosto, una ragazza che lavorava a Flagstaff (una città del nord dell’Arizona, a un paio d’ore dal Grand Canyon) mi ha scritto comunicandomi che mi avevano trovato un alloggio in quella località: avrei dovuto comunque pagarmi tutte le spese di viaggio e di permanenza.
Sono partita intorno al 20 settembre e sono rimasta negli Stati Uniti per circa sei settimane. Le prime quattro le ho trascorse a Flagstaff lavorando come full time volunteer, cioè volontaria a tempo pieno. Lavoravo circa quindici ore al giorno, occupandomi dell’organizzazione dei volontari locali, che invece lavoravano due, tre o quattro ore a settimana. In pratica si trattava di ripartire i carichi di lavoro e controllare che i volontari venissero veramente e svolgessero i compiti loro assegnati.
A metà ottobre, a due settimane dalle elezioni, il Partito Democratico, che già da lungo tempo scalpitava, ha finalmente deciso di lasciar perdere l’Arizona e di ritirarsi; provare a vincere in quello Stato sarebbe stato troppo costoso in termini di energie e non ne sarebbe valsa la pena. Così lo staff è stato ripartito in altri stati, quelli che lavoravano nel sud dell’Arizona sono stati mandati in Nuovo Messico, quelli del centro in Colorado, mentre a noi che lavoravamo al nord -eravamo in quattordici- è toccato il Nevada. Io come volontaria chiaramente non avevo nessun obbligo, avrei potuto anche tornarmene a casa, però Gretchen, la ragazza per la quale lavoravo -praticamente il mio capo- mi ha detto che le avrebbe fatto piacere se l’avessi seguita e io ho accettato volentieri. Ci siamo così trasferite a Las Vegas per le ultime due settimane, in albergo, uno di quei megacasinò, con un carico di lavoro ancora maggiore -lavoravo circa venti ore al giorno, riuscendo a dormire sì e no quattro ore per notte.
Qui l’esperienza è stata abbastanza diversa: lavoravo nell’Ufficio Centrale dello Stato, un ufficio molto più grosso di quello precedente e con uno staff assai più consistente, c’erano moltissime persone che andavano e venivano, tanti volontari, un’adrenalina e uno stress elevatissimi… Però era anche molto divertente, c’erano personaggi famosi che passavano ogni dieci minuti, c’erano continuamente degli eventi, insomma di tutto e di più. Anche lì mi sono occupata del coordinamento degli altri volontari, inoltre mi era stato assegnato il ruolo di floater, vale a dire che facevo quello di cui c’era bisogno, cambiando attività ogni giorno.
Dopodiché abbiamo perso le elezioni ed è stata una cosa terrificante, così sono tornata in Italia. E’ stato terrificante non solo perché non ce l’aspettavamo ma anche perché la campagna elettorale è un’esperienza talmente intensa che nessuno pensa al dopo elezioni; nelle ultime settimane eravamo tutti così concentrati sul 2 novembre da non pensare che il 3 sarebbe mai arrivato… E invece è stato scioccante risvegliarsi e constatare che avevamo perso, nonostante tutta la fatica e i soldi...
C’era ottimismo quindi…
Sì, c’era molto ottimismo, quasi una certezza. Per dirla molto chiaramente, eravamo convinti che o Bush l’avrebbe rubata o l’avremmo vinta noi. Non ci aspettavamo assolutamente che così tanta gente avrebbe votato per lui. Anche perché, fino all’ultimo giorno, i sondaggi e gli exit poll sembravano esserci favorevoli, per lo meno nelle nostre aree. Poi è chiaro che in campagna elettorale le gerarchie per cui lavori ti impongono di essere ottimista, anche per continuare a rendere il massimo; se ti dicessero “tanto non vinciamo” nessuno lavorerebbe venti ore al giorno. Si vive in un ambiente in cui tutti sono d’accordo, in cui pare che tutti voteranno per Kerry, con la tendenza a vedere la realtà in manier ...[continua]

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