Alex aveva dedicato molte energie, con molti altri, per cercare d’interrompere la violenza che aveva visto crescere giorno dopo giorno in ex-Jugoslavia: con la mobilitazione civica e delle istituzioni nazionali e internazionali, la messa in campo di nuovi strumenti di azione all’altezza di quella drammatica crisi di convivenza che lo coinvolgeva nei frequenti viaggi e racconti di donne e uomini con i quale stava interagendo -e stringendo amicizia- nel "Verona Forum, per la pace e conciliazione nelle regioni dell’ex-Jugoslavia”. Fino alla lettera che gli aveva fatto pervenire nel maggio 1995 il sindaco di Tuzla Selim Beslagic dopo il massacro di 71 giovani in festa nella sua città assediata: "Voi state a guardare e non fate niente, mentre un nuovo fascismo ci sta bombardando, se non intervenite per fermarli, voi che potete, siete complici”.
Ma non credo possa essere collegata a quel precipitare della situazione, la sua da tempo ben meditata richiesta di un intervento militare capace di fermare la spirale di violenza innescata in Bosnia dal preponderante predominio dell’esercito e delle milizie serbe. Sono da tempo noti e accessibili gli scritti con i quali Alex racconta nel dettaglio le ragioni e le modalità del suo impegno dentro quella guerra.
Già nella sessione del Verona Forum per la pace e conciliazione nei territori dell’ex-Jugoslavia, la risoluzione del 24.9.1993 chiede "di appoggiare il massimo impiego di tutti i mezzi civili (monitoraggio, mediazione, pressioni politico-diplomatiche, uso dell’embargo, ecc.), ma anche una credibile minaccia ed eventuale uso della forza militare internazionale”. Un richiesta via via rafforzata nelle successive sessioni e da lui esposta in numerose interviste, scritti, risoluzioni presentate e quasi sempre accolte dal Parlamento europeo dove aveva conquistato indiscussa autorevolezza. L’appello presentato con altri parlamentari al vertice di Cannes dei Capi di stato e di governo del 26 giugno 1995 non può essere quindi considerato una disperata svolta improvvisa -preannuncio di resa personale- ma come una profetica denuncia di cosa si stava preparando a Srebrenica e che solo un deciso intervento militare poteva forse evitare: "Se infatti non arriva qualche segnale chiaro che l’aggressione non paga e che a nessuno può essere lecito partire con le proprie conquiste territoriali e conseguenti omogeneizzazioni etniche, allora ogni sforzo civile si sgretola o si logora”. La freddezza nei suoi confronti di una gran parte del movimento di pace in Italia (il pacifismo tifoso con cui aveva polemizzato fin da giovane), risale quindi a ben prima del 1995, perché il Verona Forum poneva da tempo, con sempre più nettezza, il punto di vista delle vittime disarmate che vedevano sempre più indebolirsi le forze di dialogo e crescere invece i poteri dei contrapposti nazionalismi che, a protettori interessati, chiedevano soprattutto di ottenere armi, com’era d’uso nei decenni della guerra fredda. Di questo Alex si era occupato attivamente fin dal maggio 1990 in una relazione "sugli sviluppi dei rapporti Est-Ovest in Europa e sul loro impatto sulla sicurezza europea”, che aveva scritto per conto della Sottocommissione sicurezza e disarmo, approvata infine dal Parlamento europeo il 27 maggio 1993.
Per togliere armi e potere ai "signori della guerra” c’era urgente bisogno di nuovi strumenti di azione giuridica e istituzionale che in quegli anni di apprendimento collettivo il Parlamento aveva incominciato ad individuare: il Tribunale penale internazionale, una forza sovranazionale d’interposizione militare, un corpo civile europeo di pace, una nuova convenzione sui diritti delle minoranze che non comprimesse quelli dei singoli.
Se a vent’anni di distanza dall’inizio di quella guerra, a noi così vicina, Srebrenica risulta ancora un’enclave assediata, e se i movimenti di pace non sono stati in grado in Italia di elaborare una solida e convincente proposta d’implementazione di quei Corpi civili di pace, che Alex auspicava e che l’Unione Europea ha iniziato a riconoscere, lo si deve proprio al rifiuto di riconoscere la necessità di una qualche forma di governo sovranazionale delle crisi di convivenza rese indispensabili dalla salutare fine del dominio bipolare del ...[continua]
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