Non c’è traccia di confine sul Passo della Croce dell’Orso, non una pietra, una lapide, un cippo o un’indicazione che ricordi agli sparuti turisti che si avventurano da queste parti che qui passa la linea che secondo la cartografia ufficiale separa l’Europa dall’Asia. Solo raffiche di vento gelido che arrivano sferzanti da nord-est consentendo ancora a qualche banco di neve sparso di resistere al sole della primavera inoltrata. L’acqua che goccia sul versante settentrionale finisce nel fiume Argun che dalla Cecenia defluisce lentamente verso il Mar Caspio. Nel Caspio finisce anche il fiume Aragvi che raccoglie, però, i rivoli delle pendici meridionali attraversando la Georgia e l’Azerbagian. Nemmeno Bruno e Manuka, le guide che mi accompagnano, sembrano dare troppa importanza al passaggio sullo spartiacque intercontinentale. In fin dei conti fra i due versanti del Grande Caucaso non si nota alcuna differenza. Valli e rocce si intercalano in un verde intenso tra boschi di pino e betulla che a quote più basse lasciano spazio alle tradizionali latifoglie. Non c’è anima viva. Khevsureti è considerata la regione più incontaminata della Georgia, anche se non è la più remota. La distanza da Tbilisi è relativa, solo 170 chilometri, ma per raggiungerla occorrono sei ore di veicolo a quattro ruote motrici in grado di sopportare le buche e i sassi della strada sterrata, tagliata di frequente da improvvisi corsi d’acqua. Le poche fattorie che si trovano sul percorso non sembrano attrezzate per resistere ai rigori dell’inverno ad alta quota. I tetti delle cascine impermeabilizzati con teli plasticati di fortuna avrebbero bisogno di una manutenzione radicale. Anche i ricoveri per il bestiame attendono inutilmente rinforzi. La civiltà si è fermata molti chilometri indietro così come la religione che si dice in queste vallate affondi ancora le radici nel paganesimo.
Le case a torre in pietra bruna che compongono raccolte la fortezza di Shatili svettano, di colpo, impettite dietro ad una curva. Quelle di Mutso si trovano semi-distrutte su una cima pochi chilometri oltre, in direzione nord-orientale, quasi a ridosso della frontiera con la Federazione Russa. Qui termina la strada carrabile e si diramano i sentieri che portano in Cecenia e nelle valli collaterali. Fu proprio per difendersi dalle razzie cecene che fra il decimo ed il dodicesimo secolo vennero costruite le tipiche torri a difesa del territorio, poste da qualche anno sotto la tutela dell’Unesco. Prima dell’arrampicamento verso le rovine, Manuka improvvisa sul cofano dell’auto uno spuntino a base di formaggio locale e pane di mais mentre Bruno racconta delle antiche tradizioni della gente del luogo quando le mogli venivano scelte in base al peso del carico che erano in grado di trasportare sulle spalle lungo le impervie vie di montagna. Mi parla in un buon italiano anche se è stato nella nostra penisola solo un paio di volte per pochi giorni con un gruppo folkloristico di danze del suo Paese. Suo padre, però, è traduttore e si occupa, in particolare, di certificare i documenti anagrafici per gli espatriati georgiani in Italia. Pittore di professione, integra occasionalmente il bilancio domestico accompagnando turisti in giro per la Georgia. "Posso dirmi fortunato -confida- perché nonostante la crisi economica riesco a mantenere stabili le entrate”. Un po’ meno di quattrocento euro al mese garantiscono ancora nella capitale un discreto tenore di vita. Il turismo in Georgia è esploso nel giro di pochi anni. Si è passati dai 300.000 visitatori di inizio secolo ai quasi quattro milioni di oggi. A farla da padrone, però, non sono i turisti occidentali. Sono, infatti, russi i viaggiatori che sciamano da nord lungo la vecchia strada militare verso le miti spiagge del Mar Nero. Nonostante i due paesi siano ancora formalmente in guerra le relazioni interetniche fra la gente comune rimangono ottime. Dopo gli scontri del 2008 Abchazia ed Ossezia Meridionale sono di fatto occupate da Mosca, i colloqui di pace languono ma le comunicazioni non si sono interrotte. In tempi di magra i rubli rappresentano una fonte di reddito sicura anche se è denaro del "nemico” con cui la Georgia è obbligata a convivere. Con le elezioni dello scorso ottobre la repubblica caucasica ha voltato pagina. I proclami anti-russi continuano ad occupare la scena politica, ma dietro le quinte si cerca di riannodare i fili del dialogo per ammorbidire la contrapposizione sterile degli ultimi anni. Il vino di Tbilisi, così, ha ritrovato la strada per Mosca dopo un lungo embargo che aveva privato i viticoltori georgiani del principale mercato di esportazione. Anche nel mio piccolo ma confortevole hotel i suoni aspri della lingua locale hanno ceduto il passo a quelli più rotondi dell’idioma di Tolstoj.
"La Georgia non è Europa”, mi dice Nana in un tranquillo cortile interno di un caffè del centro della capitale, "ma non è nemmeno Asia; forse è una via di mezzo”, aggiunge sorridente. I suoi commenti puntuali e ironici hanno spesso caratterizzato le mie visite nel Caucaso sin dai tempi in cui lavorava per i servizi protocollari del parlamento. Era lei che accoglieva le delegazioni in arrivo da Bruxelles nel cuore della notte ed era sempre lei che ci riaccompagnava in aeroporto al termine delle missioni. Oggi lavora come interprete dopo essere stata messa alla porta dalla precedente amministrazione. è contenta del cambio di governo, mi confida, ma non si fa illusioni. "La gente è stufa e sfiduciata -sottolinea- non è disposta ad accettare altre promesse che non avranno seguito”. Gli osservatori internazionali sono stati presi in contropiede dal risultato delle elezioni di ottobre. Nessuno aveva previsto la sconfitta del partito di Mikhail Saakashvili, balzato al potere alla fine del 2003 con la "Rivoluzione delle Rose”. Non era mai successo, in precedenza, che il cambio al vertice a Tbilisi avvenisse attraverso le urne. Dai giorni dell’indipendenza da Mosca solo rivolte e controrivoluzioni.
Agli occhi delle diplomazie occidentali il presidente in carica appariva inattaccabile e invincibile. Nel volgere di pochi anni era assurto al ruolo di "superstar”, sempre presente nei salotti buoni delle capitali europee e di oltre Atlantico che lo avevano accolto e lo vezzeggiavano come il beniamino dei valori democratici nello spazio post-sovietico, un novello Davide alle prese con il Golia russo. A tutti faceva comodo credere alle descrizioni idilliache che il giovane ed intraprendente leader georgiano spacciava in giro per il mondo alla ricerca costante di aiuti economici e finanziamenti facili. Eppure i sintomi di un malessere diffuso erano lì davanti agli occhi, bastava saperli cogliere. Non passava settimana che io non ricevessi da Tbilisi denunce o appelli di cittadini e organizzazioni non governative che riguardavano presunti soprusi e violazioni delle libertà fondamentali. Stampa sorvegliata, prigioni affollate, abusi di potere di un partito che controllava quasi in monopolio tutti i centri nevralgici dello stato annullando o restringendo al minimo formale gli spazi dell’opposizione. Il dominio di Mikhail Saakashvili sembrava incontrastato. E poiché la costituzione georgiana impedisce al presidente un terzo mandato consecutivo lo stesso Misha, come da queste parti viene chiamato familiarmente, aveva promosso una riforma costituzionale che riequilibra i poteri fra capo del governo e presidenza della repubblica a vantaggio della prima carica. In pratica si era spianato la strada alla riconferma ai vertici dello stato con un semplice cambio di scranno, riproducendo specularmente la strategia adottata dal suo grande nemico Vladimir Putin. Non si aspettava, Saakashvili, un rovescio elettorale. Si racconta che all’apertura delle urne, quando ormai la sconfitta del partito al potere appariva evidente, fosse balenata la tentazione tra i suoi cortigiani al Ministero degli Interni di ricorrere ai brogli e che solo la presenza di migliaia di osservatori internazionali abbia scongiurato l’evenienza.
Tono di voce sommesso, quasi affranto, privo della consueta spavalderia, Misha ci accoglie nel suo ampio studio all’interno del palazzo presidenziale senza il tradizionale afissiante protocollo. Si respira l’aria di fine regime visto che mancano solo pochi mesi alla elezione del nuovo capo di stato. Qualche parola di accoglienza, uno scambio di batture veloce e poi ci accompagna alla veranda per la cena.
Sembra un incontro fra vecchi amici in uno scenario incantevole con le prime luci dei lampioni che, alle spalle, illuminano sul far della sera il sottostante Meidani, il centro storico di Tbilisi. "Vogliono farmi passare per dittatore ma se fossi davvero un dittatore non avrei perso le elezioni”, si sfoga senza indugi Saakashvili, "non sono Pinochet, non ho mai perseguitato i miei oppositori”. Con l’ex primo ministro Merabishvili in carcere e inchieste in corso, per l’opacità sospetta di qualche operazione, a carico di alcuni membri del precedente governo fra i dirigenti del Movimento Nazionale della Georgia, il partito al governo fino allo scorso anno, si è diffuso il panico. "La magistratura è completamente asservita al potere politico”, accusa Misha dimenticando colpevolmente che è la stessa magistratura che ha avuto al suo fianco per quasi dieci anni. Un nugolo di camerieri avvolge l’ampio tavolo rettangolare sostituendo freneticamente i piatti vuoti con nuove portate ed impedendo con le bottiglie ai calici di farsi attraversare dagli sguardi discreti degli ospiti. Carne di agnello e tranci di khachapuli, una versione locale di pizza al formaggio, sono i signori del desco accompagnati da vino bianco, Mtsvane Kisi, e rosso, l’ormai celebre Saperavi. Come è solito fare Saakhashvili non smette di parlare, la sua dialettica non conosce limiti. L’ultimo brindisi lo dedica al futuro della Georgia in Europa raccontando un aneddoto. "Qualche mese fa mi trovavo attorno a questo stesso tavolo con il generale David Petraeus, allora direttore della Cia e mentre lo esortavo a levare al cielo il suo bicchiere all’Europa questi mi rispose di dimenticare l’Unione perché, a suo avviso, non c’è futuro per il vecchio continente”. "Guardate come è finito Petraeus, travolto dagli scandali”, ironizza il presidente georgiano, "mentre l’Europa, pur tra mille difficoltà, continua il suo cammino. L’Unione ci mette, forse, più del dovuto -conclude Saakashvili- ma alla fine trova sempre una via di uscita”.
La veranda del presidente è un punto privilegiato per la vista panoramica della capitale. I colori vivaci delle facciate appena ridipinte delle tradizionali abitazioni con balconi e bovindo in stile ottomano della vecchia Tbilisi, però, non catturano più l’occhio come nel passato. Nuove e imponenti costruzioni in vetro e metallo hanno occupato gli ultimi spazi vuoti sulle sponde del Mtkvari, il fiume che taglia la città. In particolare, sono italiani gli architetti che hanno dato l’impronta alla nuova Tbilisi. Il Ponte della Pace, inaugurato, nel 2010 porta la firma di Michele De Lucchi. Coperto da una struttura sinusoidale permette ai pedoni di raggiungere il Teatro della Musica e il Palazzo delle Esposizioni, entrambi progettati da Massimiliano Fuksas, che con le linee ricalcano la forma delle tipiche anfore utlizzate in Georgia per la conservazione del vino. Ed è sempre Fuksas che ha disegnato il Public Service Hall, ribattezzato dagli abitanti della capitale in "palazzo a fungo” per l’originale copertura a petali, che ospita al suo interno la Banca Nazionale, il Ministero dell’Energia ed il Registro Civile. I nuovi edifici, come era prevedibile in una città di consolidate tradizioni architettoniche, sono stati accompagnati da un vivace strascico di polemiche rinfocolate oggi dal fatto di far parte dell’eredità di Saakashvili, il presidente caduto in disgrazia. Rimbalza addirittura la voce che la nuova dirigenza per placare le critiche e dare un segnale di discontinuità nei confronti del regime precedente starebbe prendendo in seria considerazione l’ipotesi di abbattere il ponte di De Lucchi per rimuovere uno dei più ingombranti simboli del recente passato.
L’architetto che ha firmato il progetto di residenza privata con annesso "Business Centre” del nuovo primo ministro, però, è il giapponese Shin Takamatsu. Costato cinquanta milioni di dollari il colossale edificio in vetro ed acciaio si erge come una fortezza inespugnabile che sovrasta sulla collina retrostante la centrale Piazza della Libertà. Su un’area di 10.000 metri quadri al padiglione centrale si affiancano due torri simmetriche ed una più ampia che ospita la piscina sul lato opposto. Dal centro storico appare come un pugno in un occhio che distrugge le linee armoniche della città, un vero e proprio scempio urbanistico che sfregia la coerenza architettonica della parte più antica della capitale. Si dice sia anche questa una delle ragioni che hanno indotto l’Unesco a non concedere la sua tutela al nucleo storico di Tbilisi.
La rivista Forbes colloca il miliardario Bidzina Ivanishvili al 153esimo posto della sua lista dei super-ricchi con un patrimonio stimato di sei miliardi di dollari che corrispondono circa alla metà del prodotto interno annuo della Georgia. Dopo aver fatto fortuna in Russia agli inizi degli anni Novanta con banche e miniere durante il periodo delle privatizzazioni selvagge, nello scorso decennio Ivanishvili ha fatto ritorno alla terra natia traslocando anche le ricchezze accumulate. La sua discesa in politica è caduta come un fulmine a ciel sereno per Saakashvili che lo aveva corteggiato per anni contando sul suo tacito appoggio. Sembra trovarsi a suo agio nelle vesti di primo ministro mentre ci riceve nell’avveniristico salone circolare che si affaccia sulla piscina. Non c’è alcun imbarazzo da parte sua nel mischiare la nuova funzione pubblica con quella di imprenditore di successo. D’altronde la campagna elettorale era stata punteggiata da abbondanti donazioni ed elargizioni alle comunità locali che in altre circostanze avrebbero sollevato l’accusa di voto di scambio. "L’integrazione europea continua ad essere la priorità del mio governo in linea con quello precedente”, esordisce Ivanishvili scusandosi all’inizio di non potere comunicare con noi direttamente in inglese, "stiamo facendo del nostro meglio per centrare i nostri obiettivi”. "L’accordo di libero scambio che stiamo per finalizzare con l’Unione fungerà da stimolo per la nostra economia -continua- così come contiamo di concludere in breve tempo un accordo per la liberalizzazione dei visti che faciliterà l’ingresso dei nostri cittadini in Europa”. Il primo ministro si sforza di apparire informale ed affabile a conferma dell’immagine di uomo d’affari pragmatico prestato per necessità alla politica. Per quanto riguarda le relazioni con Mosca non si fa troppe illusioni. "L’unica opzione a disposizione della Georgia nel breve termine è quella del mantenimento dello status quo -afferma- purtroppo il mio paese non è un attore di primo piano sulla scena internazionale e può solo fare affidamento sul sostegno degli Stati Uniti e dell’Europa”. Si compiace, però, di essere riuscito nell’impresa di riaprire il commercio con lo scomodo vicino dopo anni di embargo migliorando anche le relazioni culturali. "Ho vissuto in Russia per venti anni avendo l’opportunità di conoscere a Mosca e San Pietroburgo quella che io reputo la migliore intellighenzia del mondo -commenta- ma non mi aspetto che la situazione cambi in quel paese”. "Bisogna, comunque, evitare le reazioni isteriche”, sostiene con un riferimento neanche troppo velato a Saakashvili che paragona a Putin nei metodi usati nell’esercizio del potere. La pioggia, intanto, comincia a scrosciare sulle ampie vetrate della sala sgocciolando anche all’interno, sul tavolo attorno a cui siamo assisi, come spesso avviene negli edifici moderni che per ragioni di estetica trascurano i principi più elementari di impermeabilizzazione.
Quando Saakashvili salì al potere promise di fare piazza pulita degli uomini legati a Shevardnadze riformando le istituzioni e sradicando la corruzione dilagante. "Tolleranza zero nei confronti del crimine” aveva dichiarato e così, per certi versi è stato. A tal punto che nel giro di pochi anni la Georgia ha accumulato la più alta percentuale di popolazione carceraria in Europa in rapporto al numero di abitanti scalando, nel contempo, le classifiche internazionali sugli indici di lotta alla corruzione. Paradossalmente, però, è stato proprio lo scandalo delle prigioni scoppiato a pochi giorni dal voto a determinare la sconfitta del partito del presidente. Un video filtrato alla stampa, infatti, che mostrava gli abusi e le torture inferte dai secondini ai carcerati nel penitenziario di Gilani ha scatenato l’ira di un’opinione pubblica già fiaccata dalla crisi economica e dalla sfiducia nei confronti della classe dirigente. A Ucha Nanuashvili, il nuovo difensore civico, è spettato il difficile compito di ricucire lo strappo fra cittadino e istituzioni affrontando i casi più spinosi che avevano generato un diffuso risentimento popolare.
Fino a pochi mesi prima ai vertici di una organizzazione non governativa, Ucha era di casa nel mio ufficio di Bruxelles dove non mancava di passare tenendomi aggiornato sugli ultimi avvenimenti del suo paese ogni volta che veniva invitato alle riunioni della società civile del Caucaso meridionale che si tengono periodicamente presso le istituzioni europee. "L’amnistia appena approvata dal governo ha drasticamente ridotto la popolazione carceraria -osserva- oggi non si finisce più in prigione per reati minori come avveniva in precedenza”. Anche perché, di fronte alla mano dura dei giudici, chi aveva grane con la giustizia nonostante si ritenesse innocente preferiva ricorrere al patteggiamento onde evitare una condanna ancora più severa. Il nuovo difensore civico, in particolare, si sta occupando di quei cittadini che hanno ceduto le loro proprietà allo stato. "Sono 9500 le persone obbligate a regalare agli enti pubblici i propri averi dopo continue vessazioni ed irruzioni improvvise della polizia -sottolinea- e mi aspetto molti altri casi simili adesso che la gente non ha più il timore di denunciare” . "Prima di parlare di giustizia selettiva o di persecuzione dell’opposizione come fanno, oggi, alcuni osservatori internazionali -rimarca- bisognerebbe documentarsi”. Nanuashvili conclude ricordando l’impegno del suo ufficio per fare in modo che le organizzazioni non governative possano monitorare le procedure giudiziarie al fine di verificarne la correttezza e la possibilità per i giornalisti di accedere a tutti gli atti.
"Finalmente in Georgia si è creato per i media un ambiente veramente competitivo”, annuncia il rappresentante di una stazione radio-televisiva nel corso di un incontro con il mondo dell’informazione. Di parere opposto sono, ovviamente, gli operatori legati ai partiti di opposizione che denunciano una pressione crescente. L’appartenenza di una delle principali reti alla moglie di Ivanishvili non gioca a favore del sistema radio-televisivo georgiano alla luce, anche, di quanto è avvenuto in Italia. Di fatto, però, i georgiani hanno tutte le possibilità di farsi liberamente un’opinione di quanto avviene nel proprio paese al contrario dei vicini nella regione.
Sembrava una società tollerante, quella georgiana, la più aperta fra quelle del Caucaso ma si è scoperta improvvisamente razzista con episodi di intimidazione nei confronti della minoranza azera di religione musulmana e l’aggressione recente di alcuni militanti omosessuali. Protagonista in senso negativo, secondo le associazioni non governative, è la componente più oltranzista della chiesa ortodossa che ha deciso improvvisamente di scendere in campo a difesa dell’identità religiosa e dei valori tradizionali della Georgia. Paradossalmente è proprio l’asse ortodosso che lega la chiesa di Tbilisi a quella di Mosca a rimettere in discussione la scelta euro-atlantica del paese. Anche le organizzazioni internazionali, poi, ci mettono del loro nel confondere le idee alle autorità georgiane con indici ambigui o contraddittori che disorientano i legislatori intenti ad adottare standard europei. È così che la Georgia si trova ai primi posti secondo la Banca Mondiale per quando riguarda la libertà di impresa ma agli ultimi secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro per quanto riguarda i diritti dei lavoratori che possono essere licenziati su due piedi dal datore in qualsiasi momento. Se vuoi fare affari e attirare gli investitori, sembra essere il messaggio, devi sbarazzarti dei sindacati; pazienza se, poi, si distrugge la rete di protezione sociale.
Dai banchi del parlamento georgiano a quello europeo il passo è breve. La forte polarizzazione politica presente nella piccola repubblica caucasica si è trasferita e ripercossa nelle istituzioni comunitarie con detrattori e sostenitori di Saakashvili e Ivanishvili che, nel frattempo, non smettono di bisticciare come cani e gatti smentendosi a vicenda. Eppure la Georgia avrebbe un immenso bisogno di pace e di riconciliazione e non di guerre esterne con i vicini o di guerre interne di potere. L’attrazione europea è ancora forte ma in mancanza di segnali forti e chiari da Bruxelles potrebbe spegnersi nel volgere di poco tempo. Dipende da quale versante si scende dal Passo della Croce dell’Orso.
paolo.bergamaschi@europarl.europa.eu
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