Mi chiamo Pasquale Zagari, sono detenuto presso il carcere di Opera dopo aver espiato parte della pena in regime speciale di 41 bis. Attualmente mi trovo in regime di Alta Sicurezza dove ho appena finito di scontare l’isolamento diurno di un anno. Ho l’età anagrafica di 50 anni e posso dire che il più della mia vita l’ho trascorsa da detenuto in quanto in detenzione continua dal 1988. La mia condizione è resa ancora più dura e terribile perché tutto ciò che sto passando è immeritato e privo di significato. Questo mio scritto, forse, serve più a me stesso, ha certamente un effetto catartico perché mi fa ricordare chi sono e per cosa non devo mai smettere di credere, con la speranza che prima o poi questo incubo possa finalmente terminare.
Nelle mie condizioni di recluso, molto spesso, non riesco a percepire il lento incedere del tempo, tutto rimane uguale a se stesso, in un freddo grigiume che mi circonda; grigiume delle pareti della cella, dei confini che delimitano l’area del passeggio, della faccia degli altri sventurati come me. Il grigio ormai costituisce la costanza del mio vivere: cieli grigi, mura grigie, facce grigie, vita grigia, senza più colore e senza più senso. Non so quando ho iniziato a fare l’amore con il male, ma è stato tutto così naturale e inconsapevole, perché tutto intorno a me appariva così orrendamente ingiusto. All’epoca avevo solo sedici anni e quel ragazzo più grande che continuamente mi vessava con continue angherie me lo ricordo bene, come se fosse oggi, lo scherno degli amici, l’impossibilità di rivolgersi allo Stato e poi il consiglio di quell’amico che mi disse di fare il mio dovere e armò prima ancora che la mia mano la mia anima. In un istante ecco i lampi che uscivano dalla canna della pistola come lingue di fuoco che si riflettevano su quella lunga vetrina di quel bar. Eppure, quel luogo era stato compagno di felicità, in quel bar ricordavo mio padre che mi comprava le cose buone che non si facevano a casa e in quel momento orrendo vedo la fine della mia vita e di tutta la mia famiglia.
Quando sono stato per la prima volta condannato a 22 anni ero molto giovane e confessai quell’orrendo delitto che ha segnato tutta la mia vita, dopodiché ho trascorso il resto dei miei giorni sempre in carcere.
E se è vero che esiste la giustizia, io non smetterò mai di domandarmi perché sono stato condannato all’ergastolo per un concorso morale in omicidi avvenuti durante la mia detenzione. Da prima che esplodesse a Taurianova la guerra di mafia a tutt’oggi sono sempre stato detenuto in carcere. Prima della certezza della pena non ci dovrebbe essere garantita la certezza della verità?
Un giorno vennero mia sorella e mia zia al colloquio e mi dissero che il giorno prima avevano ucciso mio padre. Non potei che piangere, e  ogni mio pensiero fu annegato in un mare di sofferenza. Ci lasciammo senza una parola, condividendo il nostro triste destino, non potendo mai immaginare, invece, quale tragico corso avrebbe intrapreso la mia vita.
Sul punto hanno avuto pregnanza le dichiarazioni rese da due collaboratori di giustizia: i quali dichiarano che dalle carceri possono essere inviate disposizioni all’esterno, anzi gli stessi dichiarano che loro lo hanno fatto, addirittura uno dimostra attraverso quali trucchi spediva lettere all’esterno. Benissimo: loro dicono che è possibile perché alcuni di loro lo hanno fatto e quindi, se loro lo hanno fatto l’ho fatto pure io? 8 giudici, Corte di Assise; 8 giudici, Corte di Appello; 8 giudici della Corte di Cassazione; ovvero 24 giudici che dicono di NO. Mi avevano assolto!!! Nuovo processo per le medesime accuse e qui 8 giudici ribaltano tutto senza tener conto delle mie assoluzioni? Condannandomi all’ergastolo con fine pena mai? è come se a un incontro di calcio una squadra segnasse 24 goal e quella avversaria 8, ma vincesse la seconda.
Mio fratello, così scrivono i giudici, avrebbe vendicato la morte di mio padre compiendo una terribile strage. Ebbene quei giudici hanno ritenuto che anch’io fossi a conoscenza di quegli omicidi e che avessi trasmesso tramite i miei familiari un messaggio per appoggiare l’iniziativa omicida. In realtà, il mio sventurato fratello aveva organizzato e pianificato tutto la sera prima del mio incontro con i familiari, rubando macchine, preparando, organizzando tutto quanto era necessario all’esecuzione dell’azione di fuoco, così come risulta agli atti del processo. Ciò nonostante, anch’io sono stato ritenuto responsabile di quei fatti.
Vedete, io sono un uomo che ha visto poco della vita, ancora minorenne ho commesso un grave delitto, dopodiché credevo che scontato il mio debito avrei potuto un giorno iniziare a vivere, a poter fare quello che fanno le persone normali… avere una famiglia, costruire qualche cosa di positivo, oppure semplicemente aver la possibilità di vivere una vita da uomo libero. Mi si è voluto a tutti i costi ritenere responsabile di crimini che io non ho mai pensato, non ho mai voluto; mi si è voluto a forza togliere tutte le speranze e tutta l’umanità che fino a ieri ho tentato, con tutte le mie forze, di salvaguardare per rispetto a me e alle persone che mi vogliono bene. Vorrei rammentare che per il mio caso il Procuratore Generale aveva chiesto l’assoluzione, che più di un giudice ha creduto nella mia innocenza, che numerose sono state le decisioni, anche cautelari, che hanno ravvisato l’estraneità della mia persona ai fatti contestati, che gli stessi pentiti che mi hanno accusato hanno ritrattato le loro dichiarazioni sulla mia colpevolezza -basti ricordare, uno su tutti, il figlio di colui che io avrei mandato a uccidere.
Per amore di onestà l’ultima cosa da aggiungere è che, sospinto dalla disperazione, a voi forse incomprensibile, che si impossessa di chi come me si trova senza più sperare nulla, che da perdere non ha più nulla perché nulla gli appartiene, nemmeno la propria vita, mi ha fatto commettere un grave errore nel novembre del 2009 .
Insieme a mio fratello, ergastolano ostativo pure lui, abbiamo tentato un’evasione, senza averla nemmeno progettata, senza aver pensato veramente a cosa stavamo facendo, ma più cogliendo un’occasione da non lasciar perdere, accecati dalla nostra sofferenza e della nostra disperazione. E il prezzo poi l’ho pagato assai caro, oltre il male commesso, del quale tutt’oggi mi rammarico.
Oggi nutro solo l’ultima e unica speranza e non è quella in cui spera chi ancora lotta per me e ogni volta che mi viene a trovare mi dice di essere fiducioso che riusciremo a ottenere in qualche modo giustizia, che le porte si apriranno per me, e nemmeno è quella che qualche persona si ricordi di me e chieda giustizia. So che i processi possono essere riaperti con la revisione e so pure che anche l’accusa può sostenere questa iniziativa. Ma non ho più la speranza che sarà così.
Io oggi voglio lottare, voglio lottare e sperare in una cosa soltanto, così forse riuscirei almeno a dare un senso alla mia vita perduta: vorrei e voglio che mai più a nessuno debba succedere quello che è successo a me. Vorrei e voglio trovare modo di essere utile nella lotta per una giustizia degna di questo nome affinché almeno posso dire: "Pasquale, la tua vita bruciata almeno un senso l’ha avuto: imparando dalla tua vita bruciata si preserveranno altri dal tuo stesso destino”.
Perciò sappiate che io sono qui, chiuso fra queste grigie e fredde mura del carcere di Opera. Io non ho altra possibilità di raggiungervi se non attraverso questa lettera, ma se qualcuno ritiene che mi può sostenere per dare un senso alla mia vita non vita… mi venga a trovare, sarei più che lieto di parlarvi di com’è il carcere e tutto il mondo che lo circonda. Ho oltre 23 anni di esperienza in questo, ho visto e vissuto in tante strutture penitenziari in vari regimi… 41 bis... ho fatto isolamenti... ho vissuto anni in celle a bocca di lupo… Insomma, direi che sono un vero esperto in questa triste materia.
Non potendo e non riuscendo più a sperare di ottenere giustizia per me, almeno permettetemi di dare un senso alla mia vita-non vita.
Buona vita a tutti.
Pasquale