Voi proponete di avviare in Italia una sperimentazione delle scuole autonome, quelle che in Inghilterra e altrove si chiamano "free school”, scuole, cioè, completamente autonome nella gestione dell’istruzione, ma pagate interamente dallo Stato. Intanto perché una sperimentazione?
L’idea è che in generale in questo Paese, ma in particolare nel mondo della scuola, sia difficile fare riforme imposte dal centro alla totalità della popolazione e che sia preferibile, invece, percorrere una strada fondata sull’autonomia, consentendo a chi vuole provare modi diversi di fare scuola, di poterlo fare senza togliere risorse a chi, invece, preferisce il sistema tradizionale. Tutti pensiamo che la scuola italiana non funzioni bene, però su quale riforma fare non si trovano due persone con la stessa opinione. Quindi è inutile tentare di fare una riforma che vada bene a tutti. Meglio consentire alla gente di fare scuola in modo diversificato senza che questo debba significare il passaggio a un sistema privato nel senso tradizionale del termine.
È questa, forse la cosa più difficile da far capire alla gente: si può separare la funzione "redistributiva” dello Stato, intesa come impegno a far sì che tutti possano avere accesso alle stesse opportunità educative, dalla funzione di "produrre” istruzione.
La scuola può rimanere pubblica nel senso che è finanziata dallo Stato -e lo Stato ne garantisce l’accesso e la qualità- ma può al tempo stesso essere "prodotta” da privati o comunque da soggetti diversi dallo "Stato centrale”. Se questi altri soggetti riescono a produrre meglio i servizi educativi, non c’è niente di male, purché se ne garantisca a tutti l’accesso. Per esempio, molte aziende che offrono il servizio di trasporto pubblico urbano o extra-urbano sono private, ma lo Stato assicura attraverso sovvenzioni che l’accesso ai servizi sia ovviamente aperto a tutti.
Quindi la regolazione e il finanziamento restano statali e però gli attori, quelli che gestiscono, possono essere sia statali che privati…
Sì, esattamente, è questa la rivoluzione, cioè togliere allo Stato centrale una delle tre funzioni, quella della "produzione” di istruzione. Regolazione e finanziamento rimangono. Quindi è chiaro che non vogliamo lasciare completamente libere le nuove scuole autonome: ci sono dei binari entro i quali devono stare, ma all’interno di quei binari c’è piena autonomia.
In realtà il nostro sistema attuale è l’ibrido forse peggiore, perché abbiamo una scuola privata che, in teoria, doveva essere in grado di finanziarsi da sola e invece è finanziata dallo Stato, senza quasi alcun controllo sulla sua qualità.
Quindi non stiamo parlando di privatizzazione, ma di un terzo modello di scuola...
Sì: la nostra proposta è diretta principalmente alle scuole statali, per offrire loro la possibilità di diventare autonome (su base volontaria) e uscire dal sistema tradizionale.
Non puntiamo a introdurre in Italia un sistema privatistico puro. La scuola finanziata dai privati e gestita dai privati senza regolazioni ha dei difetti, perché crea sorting, cioè gli studenti migliori vanno nelle scuole migliori e si crea segregazione, il che è un male per una società, che ha bisogno, invece, di un sistema di istruzione che serva a tutti, non a pochi eletti. Un sistema che produca persone superskilled e abbandoni tutti gli altri a loro stessi non può funzionare bene; e in ogni caso è necessario che la selezione sia legata al merito, non al reddito, cosa tutt’altro che facile da farsi in concreto, ma possibile. Questo è il motivo per cui è così difficile far passare l’idea di scuole autonome: la gente pensa subito che sia un modo per favorire le scuole per ricchi. Ma il nostro modello non riguarda in realtà la scuola privata: parliamo di scuole statali che possano diventare autonome pur rimanendo finanziate interamente dallo Stato.
Come funzionano? Il punto cruciale è il controllo, la certificazione che lo Stato deve dare come condizione per il finanziamento?
Infatti il grande problema è quello della valutazione. La risposta apparentemente più semplice è quella di ...[continua]
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