Federico Perotti, ingegnere idraulico, è presidente dell’ong Cisv (Comunità Impegno Servizio Volontariato) di Torino. Ha lavorato cinque anni in Burundi e Mali e oggi ne coordina i progetti in Africa e America Latina. Insieme a Riccardo Capocchini è autore di Con i piedi per terra. Lavorare con le organizzazioni contadine nei progetti di cooperazione allo sviluppo (Franco Angeli 2012).

Qualche settimana fa Cisv ha festeggiato i quarant’anni di presenza in Burundi, primo paese africano dove ha iniziato a lavorare. Come mai proprio lì?
La comunità Cisv è nata a Torino negli anni Sessanta, fondata da un sacerdote, don Giuseppe Riva, e da un gruppo di laiche impegnate;  all’inizio della sua storia lavorava nei quartieri difficili dell’immigrazione, i quartieri di Via Artom e Corso Taranto. Le "miss”-così le chiamavano- del gruppo vivevano periodi direttamente nei quartieri, e accompagnavano la vita dei migranti appena giunti a Torino, assistendoli nelle difficoltà ed esigenze di base, come l’alloggio o l’istruzione, e facendo loro sentire una vicinanza innanzitutto umana.
All’inizio degli anni Settanta il gruppo, che si era allargato e coinvolgeva molti giovani e coppie, decise di dedicare la sua azione a quello che allora veniva definito il "Terzo Mondo”.  Fu l’allora cardinale di Torino, Michele Pellegrino, che propose un impegno in Burundi, a seguito di un contatto con un vescovo laggiù. In Burundi erano appena avvenuti dei terribili massacri di popolazione, nel 1972, e i primi sette volontari partirono nell’agosto 1973 per un impegno di solidarietà nel paese, senza progetti precostruiti, e con il solo sostegno della comunità Cisv.
I volontari furono accolti nella parrocchia del comune di Nyabikere, in una zona rurale, e svolsero attività sociale in appoggio alla popolazione, formando ad alcuni mestieri e costituendo cooperative nell’ambito dell’agricoltura, dell’artigianato, della trasformazione del cibo.
Il gruppo rimasto a Torino, che viveva nella Fraternità della sede di Reaglie, si teneva in contatto con loro attraverso lettere -che ci mettevano tre settimane ad arrivare!- o attraverso rare telefonate. Ma nonostante questa separazione di migliaia di chilometri e la difficoltà delle comunicazioni, chi ha vissuto quel periodo testimonia di come la comunità riuscisse a sentirsi comunque unita e partecipe di ciò che succedeva in Burundi. è da questo primo periodo che la comunità ha scelto il suo impegno di solidarietà con il sud del mondo, a partire dalla sua natura di Associazione prima, e poi di Ong.
Anche tu hai iniziato come volontario in Burundi.
Negli anni dell’università, volevo partire per l’Africa, pensavo che fare l’ingegnere in Italia non fosse abbastanza stimolante. Avevo fatto due esperienze di un mese durante l’estate con i Missionari della Consolata in Tanzania e Kenya, e avevo deciso che avrei voluto fare un’esperienza più lunga di volontariato appena terminati gli studi. Così durante il servizio civile come obiettore di coscienza in Caritas Diocesana, conobbi la Comunità Cisv e iniziai a frequentarne le attività. Due anni dopo nel 1991 si concretizzò la possibilità di partire per il Burundi.
Ho lavorato due anni e mezzo sulle colline del comune di Mutumba, li ricordo come un’esperienza molto intensa: ti ritrovi giovane a fare cose che non avresti mai pensato, come avere del personale sotto di te, supervisionare cantieri di scuole e acquedotti, e gestire cifre consistenti. Anche il lato umano dell’esperienza è stato rilevante: il convivere nel gruppo di noi volontari, le serate senza luce a guardare le stelle in mezzo all’Africa, il rapporto con le persone che lavoravano con noi… Il Burundi è un paese molto bello, ma anche difficile, con episodi ricorrenti di violenza, che abbiamo vissuto in parte mentre eravamo là e che poi sono scoppiati nell’ottobre 1993 con la guerra civile, proprio tre mesi dopo il mio rientro. Fu molto amaro sapere che alcuni dei nostri collaboratori più stretti erano stati uccisi in quei giorni. Abbiamo ricordato questi eventi in occasione della festa dei 40 anni Cisv in Burundi, con la sofferenza dei burundesi e dei volontari che erano sul terreno e che hanno vissuto quei giorni, aiutando e proteggendo le persone che scappavano dalla morte.
Dopo una pausa di due anni, sono ripartito insieme a mia moglie, medico milanese ma conosciuta in Burundi, per il Mali. Questa volta ero basato nella capitale, a Bamako, e mi occupavo del coordinamento dell ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!