Alessandra Cenerini è presidente dell’Adi (Associazione docenti e dirigenti scolastici italiani) dalla sua fondazione, avvenuta nel 1998, con la finalità di affermare il professionismo della docenza, poi allargatasi alla dirigenza scolastica. È autrice di numerosi articoli e saggi sulla scuola e sulla condizione del docente.

In queste settimane si è tornati a parlare di valorizzazione del merito per gli insegnanti, cosa ne pensa?
In realtà se ne sta parlando da trent’anni, la novità sta nel fatto che recentemente il Miur ha avviato due "cantieri”, uno per la docenza e uno per l’istruzione tecnica e professionale. Sono due temi entrambi fondamentali. Il primo, in particolare, dovrebbe formulare proposte in materia di formazione, reclutamento e valorizzazione della professionalità degli insegnanti. Vedremo cosa ne sortirà. Non vi è dubbio che nei Paesi in cui si è puntato sull’istruzione come leva per lo sviluppo, si è sempre prestata grande attenzione agli insegnanti. Due esempi per tutti: la Finlandia e Singapore. Oggi Singapore è la quarta potenza finanziaria mondiale ed è uno dei Paesi in cui i quindicenni hanno i più alti risultati nell’indagine internazionale Pisa, ma fino al 1965, Singapore era un’isola tropicale povera, con poche risorse naturali e con un analfabetismo dilagante. È noto che la principale chiave del successo di Singapore, dopo aver conquistato l’indipendenza, è stata, per l’appunto, il grande investimento sulla scuola e in particolare sugli insegnanti.
In che termini è stata perseguita la valorizzazione del merito degli insegnanti nei Paesi da lei citati?
Innanzitutto con una fortissima selezione in ­ingresso. Sia a Singapore sia in Finlandia accedono alla formazione per diventare insegnanti i migliori studenti. In Finlandia è ammesso solo il 10% dei candidati. A Singapore c’è un’analoga selezione in ingresso, a cui si accompagna anche un successivo sviluppo di carriera sulla base del merito. Una carriera dinamica che si articola in tre percorsi specialistici e può portare a gradi professionali molto elevati attraverso tappe successive di formazione e valutazione. Da noi nulla di tutto questo. Da un lato l’ingresso all’insegnamento avviene per sanatorie continue per le quali conta solo l’anzianità di servizio, si pensi ad esempio ai Pas, i tristemente noti percorsi abilitanti speciali, dall’altro non esiste alcuna differenziazione di carriera, sebbene se ne parli da trent’anni. E invece le sole efficaci valutazioni del merito sono proprio nella fase del reclutamento e nella differenziazione e articolazione di carriera. Le altre modalità, quali il merit pay, sono cose antiche che non spostano di una virgola la qualità complessiva dell’insegnamento. Il premio al "bravo insegnante”, per il solo lavoro svolto con la propria classe, non stimola la creazione di un patrimonio professionale condiviso e quindi non si sedimenta. La scuola ha invece bisogno di costruire un forte capitale sociale, fondato sul team work. E questo può avvenire solo se si può contare su docenti specializzati che costituiscano una sorta di leadership intermedia a sostegno dell’organizzazione complessa delle scuole autonome.
Si parla anche di una crescente difficoltà ad attirare nell’insegnamento i migliori.
In molti Paesi, come la Francia, c’è una carenza conclamata di insegnanti, la docenza non ha più un grande appeal. In Italia, viste le graduatorie sovraffollate che ancora abbiamo, siamo al momento lontani da questa situazione, anche se il fenomeno comincia a farsi sentire per le discipline tecniche e scientifiche.
Ad ogni modo, per poter attirare i migliori nell’insegnamento occorre ridare prestigio sociale a questa professione e un giusto riconoscimento retributivo. Ma questo, in Italia, comporta una politica più selettiva degli organici, che dovrebbero essere costruiti in funzione delle esigenze della scuola e non dei problemi occupazionali, come avviene ora. Comporta anche rivedere l’orario di servizio e l’organizzazione del lavoro, che oggi sono funzionali a un’impostazione dell’insegnamento intesa come attività individuale, frutto della persistente, fallace, convinzione che il solo potere dei singoli sia in grado di cambiare il sistema. Si tratta invece di costruire un’organizzazione funzionale al lavoro di squadra. Servono i singoli bravi insegnanti, ovviamente, ma i singoli soggetti non cambieranno il sistema se non collaboreranno e non svilupperanno un’impresa collettiva.
Sono obietti ...[continua]

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