La legge sulle unioni civili, con il corollario della stepchild adoption, è diventata occasione di dibattito sulla genitorialità. La prima questione è se fare figli sia un diritto.
La questione è stata discussa già durante il mandato di Tony Blair. Al governo inglese interessava sapere come comportarsi con la fecondazione assistita, una tecnologia oggi molto avanzata ma anche costosa. Era stato quindi chiesto un parere filosofico a Mary Warnock, filosofa di Cambridge della cerchia di Iris Murdoch, la quale a suo tempo aveva spiegato che no, non c’è un diritto ad avere figli in assoluto. Il suo pensiero è stato pubblicato anche da Einaudi con il titolo "Fare bambini. Esiste un diritto ad avere figli?”.
Io condivido questa posizione, cioè che non esiste un diritto, diciamo, incondizionato. Ma per parte mia evito il linguaggio che poi fa dire: i desideri non sono diritti. Ovvio che non lo sono, ma ci sono desideri che per fortuna portano al riconoscimento di un diritto, per esempio quello di istruirsi, che la borghesia negava alle donne. Scelgo piuttosto di avere qualche punto fermo, come questo: nessuno può vietare a una donna di diventare madre, e nessuno può obbligarla, per ragioni che non hanno bisogno di proclamare diritti. Io non parlo di un diritto di abortire.
Tu, come molte altre donne, avete espresso molte perplessità sul cosiddetto "utero in affitto”, e cioè sulla maternità surrogata o gestazione per altri.
La maternità surrogata commerciale non passerà mai nel nostro ordinamento per ragioni che appartengono proprio alla nostra civiltà. Con la Rivoluzione francese abbiamo abolito la schiavitù. Certo, purtroppo la schiavitù continua a esistere, ma qui parliamo di quello che accettiamo e non accettiamo di essere e di fare. C’è stata anche la conquista dell’uguaglianza effettiva delle donne, che prima era enunciata ma di fatto non esisteva. Questo per dire che è stato escluso in maniera irreversibile che si possa commerciare con il corpo e i suoi prodotti, come sperma, sangue e organi, a maggior ragione bambini. Qui in gioco c’è esattamente la fecondità di una donna, più precisamente il frutto di questa fecondità. Ricordiamo che la merce qui è lui o lei, la creatura neonata.
Nel corso del dibattito è stato fatto il paragone con la prostituzione; sicuramente c’è un’analogia, ma è imperfetta come analogia perché la gestazione sotto contratto produce un essere umano ed è quello l’oggetto commerciale.
Quindi esiste un’opposizione propriamente femminista, contro la subordinazione della donna, la quale può raggiungere anche aspetti penosi e inumani. E poi c’è l’opposizione che si fa, con l’ordinamento giuridico, per tutelare la creaturina.
Io condivido queste considerazioni, ma la mia opposizione, quello su cui io porto l’accento, è l’attacco alla relazione materna, che considero un asse portante della civiltà umana, universale. È un aspetto che deve interessarci moltissimo, perché la relazione materna praticamente, materialmente, ha a che fare con l’intreccio di natura e cultura che nella nostra civiltà si è rotto. L’ecologia ci ha segnalato questo: abbiamo rotto questo legame, che le civiltà contadine avevano salvaguardato.
Allora, la difesa della relazione materna che propongo ad altre e altri di fare, più che strettamente femminista, è proprio di fondo, perché abbiamo compromesso questo intreccio di natura e cultura in maniera grave.
Ne L’ordine simbolico della madre, ho sostenuto che dalla madre, dalla donna che ci è madre, grazie alla relazione materna, noi riceviamo insieme la vita e la parola. Lacan tendeva a parlare dell’ordine simbolico portato dal padre. Io non voglio pregiudicare la funzione paterna, voglio però ribadire che non si possono separare le cure materne dall’apprendimento della parola, della comunicazione. La comunicazione con la madre o chi per essa è indispensabile per vivere e per imparare a parlare. Le due cose vanno ...[continua]
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