Il Settantasette è un anno cruciale nella storia di Bologna, di enormi tensioni per la città, tra spinte del movimento e tentativi di riportare ordine. Come hai vissuto il Settantasette?
Nel Settantasette avevo sedici-diciassette anni. Ricordo soprattutto uno stato emotivo di curiosità, di eccitazione, di desiderio (spesso frustrato) di capire. Non mi ritengo la persona adatta a descrivere il clima della città: ho solo ricordi impressionistici -la morte di Francesco Lorusso, il cerchio di gesso in via Mascarella, le occupazioni, gli scontri in città. Avevo la sensazione che "stesse succedendo qualcosa” e che quindi fosse necessario, assolutamente urgente, comprendere gli avvenimenti, fare delle scelte.
Quelli erano gli anni di Radio Alice. Cosa rappresentava per voi?
Radio Alice era seguitissima. La sede era in via del Pratello. Ci furono, se non sbaglio, feste organizzate da Radio Alice ai Giardini Margherita: ho un ricordo di atmosfere molto allegre e gioiose, sempre con un retrogusto militante che piaceva moltissimo -ricordo lo slogan: "Ma la festa non è finita, riprendiamoci la vita”. Ero probabilmente troppo giovane per avere una comprensione articolata di quello che succedeva. Inoltre non ero tranquillo interiormente: la mia adolescenza, per vari motivi, non fu serena, e le inquietudini personali si mescolavano a quelle politiche senza che avessi sempre gli strumenti per distinguere. Radio Alice fu chiusa, ma ci sono esperienze che hanno una lunga persistenza nel vissuto di una generazione, e germinano poi in modo imprevedibile e a volte inconsapevole. Gli Indiani Metropolitani a me sembravano qualcosa di divertente e in qualche modo esistenziale insieme, politicamente outrageous. Adesso non significherebbero nulla: in Parlamento ci sono veri pagliacci disperati, comici involontari.
In quegli anni fu messa a dura prova l’esperienza amministrativa e pure la cultura politica di Bologna "la rossa”. Come ti sembrava il Pci di quegli anni, e come interpreti la vicenda politica del sindaco. autorevole intellettuale comunista Renato Zangheri, recentemente scomparso?
Una volta Carlo Monaco mi disse che il sindaco di Bologna, in quegli anni, era il vero numero due del Pci. Bologna era più di una città del Nord -questo lo ricordo bene. Si aveva la sensazione di essere esattamente dove valeva la pena di essere, nel cuore delle cose. Zangheri era percepito come dotato di un’autorevolezza che adesso si fa perfino fatica a descrivere, e tuttavia proprio per questo era sottoposto a critiche anche dure. C’era un establishment culturale del Pci in città che aveva aspetti positivi e negativi: da un lato, persone indubbiamente di grande valore, dall’altro, la creazione di una specie di ortodossia, di perbenismo. Ricordo, per esempio, giudizi feroci su Pier Paolo Pasolini da parte di chi con quell’ambiente voleva identificarsi.
Rivolgendosi agli intellettuali del Mulino, Zangheri affermava: "Voi sapete tutto dei puritani del Massachusetts e nulla delle mondine di Molinella!”. Lo ricorda spesso Edmondo Berselli...
Ho conosciuto Edmondo, e posso ben capire come un’osservazione del genere potesse toccare le sue corde e il suo sense of humor. Per me era ed è sbagliatissimo anche trascurare, magari con provinciale sussiego, il Massachusetts -o la Cina. Le radici sono importanti, ma non devono diventare una fantasia onanistica. In ogni caso, ognuno deve seguire le proprie inclinazioni: se ti appassiona il sanscrito, studia il Mahabharata, anche se la "nostra” tradizione classica latina ha generato una letteratura di impareggiabile bellezza.
La casa editrice e la rivista "Il Mulino” hanno rappresentato e forse ancora rappresentano un luogo di elaborazione culturale peculiare della città: laici, cattolici, riformisti in dialogo per una società democratica...
"Il Mulino” fa parte della storia di Bologna e il contributo che ha dato era ed è di prima grandezza. Ha un suo "stile”, ma le donne e gli uomini del Mulino tendono a essere abbastanza curiosi e inclusivi. Non amano, in generale, la frivolezza. Mi ricordo l’emozione di tradurre un volumetto, Filosofia della ricerca sociale di John A. Hughes (ed. it ...[continua]
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