Vorremmo rifare il punto con lei sulle spinte separatiste e indipendentiste che attraversano l’Europa.
Partirei da Scozia e Catalogna, perché sono i casi più evidenti di un movimento profondo. Dobbiamo notare due cose: a prescindere dell’opinione personale sull’indipendenza di queste due regioni, la prima considerazione è che non si può negare il grande sostegno popolare riscontrato sia nel referendum scozzese sia alle ultime elezioni catalane. Dunque, questi movimenti sembrano esprimere un sentimento abbastanza diffuso. In secondo luogo, dobbiamo notare che ogni caso ha una storia a se stante: l’indipendentismo della Scozia non è quello della Catalogna, che a sua volta è diverso da quello dell’Alto Adige e delle Fiandre.
Nel caso della Scozia possiamo osservare un’ondata regionalista che viene da lontano. L’argomento predominante non è tanto un rigetto del Regno Unito quanto del thatcherismo, che si è poi tradotto in un desiderio di indipendenza; forse perché si dà per scontato che a livello del Regno Unito non ci siano alternative credibili.
Nel caso della Catalogna, questa dimensione conta ancora di più: c’è un confronto continuo tra governo nazionale e regionale, con quest’ultimo che ha visto crescere in modo incredibile la spinta indipendentista, con una forte mobilitazione della società civile. Ogni anno, a settembre, in Catalogna si tengono eventi per l’indipendentismo, e ormai vi partecipa quasi la metà della popolazione.
In entrambi i casi l’indipendenza ha anche le sembianze di una soluzione mitica a tutti i problemi, quasi un feticcio. Se si è arrivati a questo, è anche perché le alternative sembrano altrettanto irrealistiche: la continuità con l’esistente non sembra proponibile. Dunque c’è il feticismo per l’indipendenza, ma c’è anche la voglia di pensare il futuro politico in modo diverso: è una speranza, forse un’utopia.
L’aspetto positivo io lo vedo nell’impegno di questa gente che torna a pensare in termini politici. Inoltre, nei due casi descritti, questo desiderio non si esprime contro delle persone, al massimo contro un’istituzione.
Al di là dei due casi citati, notiamo che c’è anche una dimensione europea, mi riferisco a una crescente disillusione verso l’Europa. Negli anni Novanta, fino all’inizio di questo secolo, questi movimenti vivevano un po’ nella speranza di un’Europa delle regioni che non si è mai materializzata, o si è materializzata in un modo molto meno forte di quello che si sperava. Il Comitato delle regioni è un organismo che è rimasto subordinato a tutti gli altri; ogni tanto organizza qualche evento, fa un po’ di promozione regionale, un po’ di lobbying, ma nient’altro.
Il Comitato delle regioni non ha un peso nelle istituzioni europee?
No. Inoltre, nel Parlamento europeo i partiti regionalisti sono comunque una presenza minoritaria. Tutte le riforme proposte, Costituzione, Trattato di Lisbona, hanno portato a una maggiore centralizzazione, lasciando meno spazio alle regioni.
I vari patti, Stability pact, ecc, tendono anch’essi a riportare il processo decisionale a livello europeo e nazionale e anche questo aspetto ha contato nell’incremento, non necessariamente dell’euroscetticismo, ma certamente di un atteggiamento più critico verso l’Ue.
Per esempio, il partito scozzese Smp non è contro l’Europa; semplicemente pensa che gli scozzesi potranno contare in Europa solo in quanto stato indipendente. Hanno capito che a Bruxelles non è sufficiente essere una regione, di fatto si rimane in una posizione di subordinazione. Per contare bisogna essere uno stato indipendente. Dopodiché, auspicano che l’Ue diventi più statocentrica. Non amano tanto l’attivismo delle istituzioni europee che vogliono determinare tutto top-down, vogliono autonomia.
L’impressione, in conclusione, è che se le regioni sono meno importanti, hanno meno competenze, anche i movimenti regionalisti sono destinati a ridimensionarsi.
Recentemente sono stato in Sardegna per presentare un libro sul regionalismo sardo, un’esperienza molto interessante in cui si è discusso di regionalismo e indipendentismo. Ho notato che lì la maggioranza era favorevole all’Ue, e tuttavia quando si approfondiva un po’ l’argomento veniva fuori che ne sapevano poco. C’è un po’ di "euroforia”, nel senso positivo, cioè di spirito di collaborazione con altre nazioni; ...[continua]
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