A un anno dalle rivolte di Piazza Maidan, l’Ucraina è alle prese con il precario cessate-il-fuoco, e con enormi problemi di corruzione: queste le sfide che attendono il nuovo Parlamento, la cui metà dei membri, giornalisti e militanti, occupa quei banchi per la prima volta. Di Paolo Bergamaschi.
Non so cosa passava per la testa degli studenti di Kiev quando alla fine di novembre del 2013 accorrevano in massa a Piazza Maidan per protestare contro la decisione di Yanukovich di non sottoscrivere l’accordo di associazione con l’Unione Europea. Alcuni erano senz’altro infuriati per l’improvviso voltafaccia dell’allora presidente, altri si sentivano raggirati ed esigevano spiegazioni dal governo, altri ancora volevano semplicemente manifestare contro una classe politica inaffidabile e corrotta e altri, infine, volevano solo fare casino approfittando dell’occasione per trasformare le notti in party improvvisati dove bere, danzare e cantare a squarciagola. Nessuno di loro avrebbe certo pensato che, a distanza di un anno, l’Ucraina sarebbe stata completamente diversa da quella di allora. Il 30 novembre scorso la gente della capitale è scesa di nuovo in piazza per commemorare i primi scontri del Maidan quando le famigerate forze speciali del Berkut erano intervenute per la prima volta a reprimere in modo brutale la pacifica rivolta studentesca. Le immagini di quegli atti di inusitata violenza avevano fatto il giro del mondo attirando l’attenzione dell’opinione pubblica europea sul disagio di un paese impantanato fra le forze della conservazione e quelle del cambiamento, tra le secche dello status quo e i propositi di radicale riforma, tra i tradizionali legami economici con la Russia e i nuovi sbocchi commerciali con l’Unione Europea. L’Ucraina di oggi ha voltato pagina ma il prezzo pagato e quello ancora da pagare non era stato calcolato per tempo. Qualcosa è sfuggito di mano e i costi si sono fatti insostenibili. Prima di tutto il paese è oggi monco della Crimea, occupata e annessa dalla Russia; in secondo luogo la guerra nel Donbass è lungi dall’essere risolta e sta lentamente sprofondando nell’ennesimo conflitto congelato che caratterizza le ex repubbliche sovietiche europee; in terzo luogo l’Ucraina è sul baratro del default finanziario alla mercè del Fondo Monetario Internazionale e delle sue misure draconiane e dipendente dagli scarsi aiuti europei. Unica nota positiva in questo mare di guai è la caduta di Yanukovich, riparato ignominiosamente a Mosca per sottrarsi alla rabbia dei suoi concittadini. Ma il pesante apparato statale con i suoi lenti e soffocanti ingranaggi è ancora al suo posto.
Un conto è partecipare alle missioni di delegazioni in giro per il mondo, un altro è doverle organizzare come in questo caso. Tutto deve essere concordato meticolosamente con la controparte, nell’occasione l’ambasciata dell’Unione Europea a Kiev, e verificato nei minimi dettagli fino all’ultimo tenendo sempre pronte le opzioni di riserva nel caso di improvvisi impedimenti di qualcuno degli interlocutori. Ma, soprattutto, ed è la parte più fastidiosa e scocciante, bisogna provvedere alle esigenze più banali degli eurodeputati il cui grado di autonomia, flessibilità e adattamento appare spesso precario. Se poi il programma è concentrato nell’arco di un’unica giornata di lavoro si può stare certi che si andrà incontro a grane di ogni tipo, fra telefoni scarichi, wi-fi che non funzionano, taxi che non arrivano e crisi ipo-glicemiche da placare urgentemente con generose dosi di carboidrati sotto forma di cibo.
È una Verhovna Rada solare quella che ci accoglie, libera finalmente dalle protezioni arcigne delle forze di sicurezza in assetto anti-sommossa. Persino i controlli all’ingresso appaiono meno soffocanti e più spediti del solito, con i funzionari dei servizi protocollari che mi accolgono sorridenti scortando la delegazione che accompagno lungo le rampe di scale e i corridoi affilati che conducono alla sala dove sono previsti gli incontri. Anche la composizione dell’assemblea parlamentare è profondamente mutata dopo le elezioni di fine ottobre. Più della metà dei membri, infatti, arriva per la prima volta nei banchi del nuovo parlamento scompaginando gli equilibri precedenti. Fra questi la categoria più rappresentata è senz’altro quella dei giornalisti, protagonisti negli ultimi anni delle denunce delle malefatte della classe politica e dei relativi cortigiani messi a presidiare i gangli dell’apparato statale. Oltre a questi vi è un nutrito numero di esponenti che hanno organizzato e animato dagli inizi le imponenti e inesauribili manifestazioni di Piazza Maidan. I partiti hanno fatto a gara nel corteggiarli per averli in lista. Rappresentanti del movimento "Euromaidan” sono stati così eletti in form
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