Temo di non essere più né un testimone ben disposto, né un giudice imparziale nei confronti dei monoteismi. Posso certo rivendicare 50 anni di ricerca, non solo intellettuale, in cui ho voluto guardare dentro -anzi talvolta proprio dal di dentro- il cattolicesimo, l’ortodossia soprattutto russa, il mondo protestante, l’ebraismo biblico, post-biblico e moderno, l’islam coranico, quello riformista e quello fondamentalista. Ho cercato di passare attraverso le fonti e di conoscere le rispettive lingue e scritture. Ho imparato e amato le loro musiche e le loro canzoni.
Eppure tutto questo, alla fine, non mi ha reso più benevolo spettatore delle vicende dei monoteismi. A questo stato d’animo ha contribuito certo l’assommarsi di letture e ricerche, ma anche il consolidarsi di esperienze che vanno oltre la lettura e lo studio: l’evidente difetto di veracità e l’indaguatezza della maggior parte dei discorsi religiosi, la prepotenza, sottile o grossolana, dei leader, la violenza religiosa spaventosa dilagante. Questo non è rimedio, ma fa anzi parte dello spettacolo del male e della sofferenza universale, dinanzi al quale si impone la convinzione che la vita sia mistero inspiegabile, e che rispetto ad esso sia impari anche la grande narrazione biblica, qual che ne sia la versione. E che solo il silenzio sia adeguato.
2. Permettetemi dunque di cominciare rifacendomi a una precedente sintesi, Quattro tesi sul monoteismo, che risale ormai a dieci anni fa. Sintetizzavo così, in quattro tesi appunto, la mia posizione.
a) Il carattere originale dei monoteismi -la loro forza e il loro limite- appare connesso all’“ethos profetico”, cioè pare dipendere dalla specificità della funzione profetica, come comunicazione di una volontà trascendente cui deve corrispondere, da parte di una comunità umana, una prassi etico-politica.
b) L’esclusivismo teologico, come anche l’assolutismo politico costituiscono sviluppi storicamente importanti, ma non sono deduzioni intrinsecamente necessarie al paradigma monoteistico, e non appartengono alla sua “teologia politica” originaria.
c) Il modello monoteistico comporta in se stesso un duplice dinamismo, da una parte quello che spinge verso la traduzione della profezia in termini di sapienza e di razionalità etica e, dall’altra, il dinamismo delle potenzialità ulteriori dell’inspirazione profetica.
d) Dalla natura complessa e paradossale della comunicazione profetica -una comunicazione che pretende di appartenere alla storia ma di avere una validità al di là dalla particolarità storica delle sue origini- deriva sia la preoccupazione esegetica e storica, sia l’esigenza di una traduzione razionale e filosofica dei testi, sia infine il bisogno di espanderne il senso nella lettura sapienziale.
3. Il mio saggio Quattro tesi sul monoteismo, nella sua prima e quasi definitiva redazione, veniva presentato a Tunisi nel 1995 nel contesto di una convegno dedicato a “Monoteismi e modernità”. Era l’esito di una mia riflessione volta a pensare insieme i tre monoteismi (quindi non solo l’ebraismo, ma il cristianesimo e l’islam): una riflessione cominciata con una permanenza in Israele-Palestina alla metà degli anni Settanta e già riflessa nel mio Vitello d’oro (1983). Nel saggio del ’95 per comprendere insieme tutt’e tre i monoteismi mettevo in primo piano la categoria di teologia politica, essendone debitore a Jan Assmann e al suo saggio sulla Teologia politica tra Egitto e Israele del 1991 (alle spalle di Assmann, l’ascendenza Carl Schmitt-Jacob Taubes), entrato poi in Potere e salvezza (Einaudi 2002). La specificità dei monoteismi, a partire da quello ebraico, secondo questa lettura che ha alle spalle l’ascendenza complessa dell’opera di Jacob Taubes, non consiste nella diversità di contenuti etici e politici, ma nel fatto che gli stessi contenuti nelle altre culture (paradigmaticamente, quella dell’Egitto dei Faraoni) sono proposti dal profetismo come rivelazione e comando -come Legge- immediatamente provenienti da Dio, senza rappresentanza (mentre Faraone rappresenta la divinità).
Sia la teologia politica di Israele, sia quella islamica delle origini, contengono la stessa istanza “teocratica”, nel senso etimologico, senza la minima connotazione negativa. La prima, quella di Israele, si costituisce nell’antitesi co ...[continua]
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