sono di ritorno da una visita in Italia, nel corso della quale sono passata da Predappio, per cercare di capire qualcosa sul Museo del fascismo di prossima costruzione, e di cui si è già parlato in queste pagine. Il discorso della storia di una dittatura, e di come la memoria debba rapportarsi ad essa, e in che modo un’opera museale possa aiutare l’impresa, non riguarda certo solo Predappio. Rispetto alla Cina, vi ho già raccontato del Museo di Nanchino, che è anche un memoriale delle atrocità commesse dai soldati giapponesi nel corso della Seconda Guerra Mondiale, e vi ho parlato anche di altri musei sparsi per il paese: quello a Shenyang, sull’invasione giapponese, quello a Shanghai, sugli inizi del Partito comunista, e altri.
Di questi tempi, però, si usano parole che si pensava appartenessero a un’altra epoca, e che invece sono tornate all’ordine del giorno, sia quando sono utili che quando non lo sono, un po’ dappertutto: si parla di "fascismo”, nei confronti di Trump, e di neo fascismo nei confronti di diversi partiti politici europei, e perfino di "lugenpresse”, la "stampa bugiarda" di nazista memoria.
La Cina non è che se ne stia a guardare, indifferente ai dibattiti in corso: dopo tutto il parlare di "fake news” che è stato fatto prima e dopo le elezioni americane, ecco che da poco se n’è uscita accusando i "media occidentali” (generalizzazione quantomai insensata) di essere propagatori di "fake news”’ riguardanti la Cina; il tutto approfittando del discredito che l’amministrazione Trump e i suoi sostenitori cercano di gettare sulla stampa nazionale. La parola "fascismo” però non è stata pronunciata in Cina e questo mi fa riflettere. Perché mi rendo conto che in Cina, dove la storia è manipolata più che nelle democrazie e semi-democrazie che la circondano, su certe cose si adotta maggior cautela. Non è sempre così, da queste parti: come sapete, occasionalmente in Giappone qualcuno decide che le svastiche (naziste, non buddiste) sono una cosa divertente, ed ecco che un gruppetto pop decide di utilizzarle per un video o un concerto. Oppure in Corea del Sud, ecco che spunta l’Hitler Bar, così, tanto per farsi due risate. Mentre lo scorso dicembre, a Taiwan, c’è stato uno scandalo in un liceo privato che ha portato alle dimissioni del preside: gli studenti avevano deciso di celebrare l’anniversario della scuola con una parata in costume, e hanno ben pensato di farla in costume nazi, senza che gli insegnanti intervenissero. Qui a Hong Kong proprio l’altro giorno ero seduta in macchina e si ferma di fianco a me al semaforo una motocicletta con due belle bandiere naziste sopra -la svastica nera in campo rosso e bianco. Ho scattato una foto con il telefono, mantenendomi discreta, ma il conducente mi ha vista; a quel punto si è messo in posa, ovviamente consapevole di cosa stessi fotografando e fiero di ostentarlo. Con in testa tutte queste idee che si rincorrevano fra di loro, ho deciso di telefonare ad un centro sorto da qualche anno a Hong Kong, che si chiama Hong Kong Holocaust and Tolerance Centre, il Centro di Hong Kong sull’Olocausto e la Tolleranza. È stato creato da un gruppo di studiosi volontari, diversi dei quali ebrei residenti a Hong Kong, i quali, preoccupati per le lacune abissali che vi sono in Asia, e nello specifico a Hong Kong, su quanto avvenuto sotto il nazismo, hanno deciso di creare un’istituzione che cerca di raccontare quello che qui, per motivi in parte incomprensibili, ancora non si sa. Ho parlato con April Kaminsky, una residente di Hong Kong di lunga data, che mi ha raccontato il tipo di attività che il centro porta avanti: conferenze nelle scuole, gite organizzate in Polonia per visitare alcuni dei luoghi dell’Olocausto, mostre, testimonianze di sopravvissuti. Mentre ci commiseravamo vicendevolmente per il livello di ignoranza che c’è nella regione su quanto avvenuto in Europa, e ci interrogavamo sul paradosso che fa sì che in Giappone Anna Frank sia molto popolare, per quanto poi l’estetica nazista sembri dura a scomparire, le ho chiesto che esperienza avesse con la Cina. Mi ha risposto: "Lì è molto diverso. Abbiamo fatto diverse cose con delle scuole cinesi, in generale hanno le idee un po’ meno confuse, e non abbiamo mai avuto problemi a recarci nei licei portando dei sopravvissuti o solo del materiale educativo per raccontare le storie di chi è stato vittima del nazismo. Ci accolgono sempre con grande calore. Anche a Shanghai, dove molti ebrei han ...[continua]
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