tutto sembra in ritardo quest’anno: le piogge monsoniche, che a Hong Kong arrivano in luglio, sono cominciate solo ora, che è l’inizio di settembre. Altri ritardi interessano il mondo intero, fra le scuole che forse riaprono o forse no, le attività sociali che prima sono possibili poi improvvisamente devono essere cancellate, e così per la possibilità di ricominciare a vivere in modo normale, che si scontra con la domanda insistente su cosa sia normale, e se non sia questa l’occasione buona per rivedere alcune cose.
A Hong Kong, “normalità” è una parola di cui adesso ho un po’ paura: la maggior parte della stampa parla della “nuova normalità” per riferirsi a qualcosa che di normale non ha nulla, ma che dovremmo in teoria imparare ad accettare. Intorno a me però ci sono solo persone che non hanno alcuna intenzione di accettare questa falsa versione della normalità: una “nuova normalità” in cui non si può protestare, in cui la Cina ha la prima e l’ultima parola su tutto e in cui le differenze di Hong Kong sono spazzate via. Non è che il governo sia privo di sostenitori: qualcuno c’è, ma è molto difficile parlarci. A loro non interessa intavolare una discussione, si accontentano di stare dalla parte dei vincitori e non vogliono domande scomode.
Malgrado questa difficoltà a comunicare, Hong Kong è in attesa che la pandemia si plachi, per poter riprendere tutti i discorsi lasciati in sospeso. Il governo di Hong Kong, e quello di Pechino, invece, sono piuttosto attivi nella direzione opposta: approfittano dell’immobilismo causato dal Coronavirus per procedere sempre più spediti verso leggi draconiane e incendiarie, che non fanno altro che aumentare la rabbia e l’angoscia dei cittadini di Hong Kong.
L’anno scorso vi raccontavo delle manifestazioni quotidiane, nel corso delle quali la polizia assumeva comportamenti sempre più violenti, portando alcuni manifestanti a intensificare lo scontro: in particolare, erigendo barricate che potevano essere date alle fiamme e tirando pietre contro la polizia.
Con l’annuncio delle misure di distanziamento sociale in risposta alla pandemia, tutte le manifestazioni sono improvvisamente diventate illegali, e anche gruppi di persone ben distanziate che si presentano in strada o nei centri commerciali con in mano cartelli di protesta o scandendo slogan vengono immediatamente arrestate, in nome appunto della prevenzione sanitaria. Nel frattempo, le spiagge, ufficialmente chiuse, sono frequentatissime (anche perché le famiglie, in particolare quelle con figli piccoli, non potendo viaggiare, si affollano sulle spiagge di Hong Kong per trovare un po’ di sollievo dallo stare quotidianamente rinchiusi fra le pareti di casa); anche fuori dai bar c’è sempre una folla.
Spesso fra amici si scherza sul fatto che se volessimo vedere applicate le regole sul distanziamento sociale anche in questi luoghi, basterebbe che una persona si presentasse con un cartello che chiede il suffragio universale, o che canta lo slogan, ora illegale, “Liberare Hong Kong, Rivoluzione del nostro tempo!”. In pochi secondi vedremmo arrivare la polizia armata fino ai denti, pronta a spruzzare tutti di spray al peperoncino e per poi caricare le persone sulle camionette.
Certe battute, lì per lì, ci fanno sorridere, ma poi finiamo a guardarci con una smorfia, che non è una risata.
Domenica dovevano esserci le elezioni legislative: sono le elezioni con le quali, ogni quattro anni, Hong Kong elegge per suffragio universale la metà dei suoi rappresentanti al parlamento locale. L’altra metà viene eletta per voto corporativo, che è più spesso pro-governo. La metà per suffragio universale è sempre vinta dai candidati pro-democrazia, ma visto che la loro vittoria è diluita nel 50% di seggi eletti dal voto popolare, non hanno maggioranza in parlamento. Lo scorso novembre, però, nel corso delle elezioni di distretto (che hanno funzione municipale e che sono interamente a suffragio universale) 17 distretti su 18 sono andati al campo pro-democrazia, ed ecco che il governo si è spaventato. La prima reazione è stata decidere che 12 candidati non potevano presentarsi perché non erano in accordo con la legge sulla Sicurezza Nazionale (che Pechino ha fatto passare a fine giugno, scavalcando il Parlamento di Hong Kong). Poi, non contenti, hanno sospeso le elezioni rimandandole di un anno: ufficialmente a causa della pandemia, anche se i casi registrati a Hong Kong non sono mai stati tali da giustific ...[continua]
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