Recentemente è aumentato l’interesse per lo stato di salute della popolazione immigrata a causa della rilevanza demografica di tale sottogruppo, in forte crescita negli ultimi decenni. Dal 2008 al 2015 il numero di persone anziane straniere che vive in Europa è passato da 7 a 15 milioni. In Germania, il più importante paese di antica immigrazione, le registrazioni annuali mostrano che nel corso di un trentennio la popolazione straniera anziana (di 60 anni e oltre) è raddoppiata all’incirca ogni dieci anni: da 80.000 nel 1970 a 160.000 nel 1980, a 320.000 nel 1992 e a quasi 670 mila nel 2001¹.
La vulnerabilità della salute di alcuni gruppi di immigrati di età superiore a cinquant’anni che vivono in Europa è stata evidenziata in uno studio recente². Si è visto, ad esempio, che gli stranieri provenienti dall’Europa orientale hanno maggiori probabilità di percepire una peggiore salute e di soffrire di depressione rispetto ai nativi. In questo studio³ si considerano le traiettorie di salute nel tempo per capire se lo svantaggio degli immigrati rispetto ai nativi aumenta o meno con l’età. In particolare, ci si propone di indagare le probabilità di transizione tra le condizioni di salute: auto-percepita (Sph), depressione (Dep) e attività della vita quotidiana (Adl), e di esaminare il modo in cui variano secondo il paese d’origine e l’età alla migrazione.
Dati e metodi
La dimensione longitudinale acquisita dall’indagine Share (Survey of Health, Aging and Retirement) ̶ di cui abbiamo utilizzato i dati dal 2004 al 2011 ̶ ci ha permesso di approfondire l’evoluzione delle disuguaglianze di salute e di conoscere le caratteristiche dell’invecchiamento degli immigrati rispetto ai nativi. I dati sono riferiti a individui residenti nel campione di paesi selezionati nel 2004, che vanno da Danimarca e Svezia, a Austria, Francia, Germania, Svizzera, Belgio e Olanda, fino a Spagna, Italia e Grecia. L’indagine di riferimento comprende 27.061 persone, di cui 2.194 immigrati, cioè persone nate in un paese diverso da quello di residenza, circa l’8%. Si sono aggregati tre gruppi: i provenienti da "Europa orientale”, da "Altri paesi europei” e da paesi "Extra europei”.
La principale variabile indipendente è costituita dal passato migratorio, che unisce lo status di immigrante con il paese d’origine e l’età all’arrivo nel paese di destinazione: prima dei 15 anni (infanzia e adolescenza), in età compresa tra 15 e 34 (giovane età adulta) e a 35 e più anni (età adulta).
Si è proceduto alla stima delle probabilità di transizione da uno stato di salute sano ad uno di malattia (o viceversa) per i tre indicatori di salute considerati, in funzione dell’essere in uno stato buono o cattivo di salute all’inizio dell’indagine. Sono state incluse le seguenti variabili di controllo: variabili socio-demografiche (età, sesso, stato civile, istruzione, condizioni economiche percepite), comportamenti a rischio (abitudini al consumo elevato di alcolici e di fumo), sostegno sociale (aiuto proveniente dall’esterno della famiglia) e paese di residenza.
Lo svantaggio degli immigrati
In tutti gli ambiti esplorati, lo stato di salute degli immigrati anziani nel corso dei sei anni dell’indagine Share si è deteriorato maggiormente rispetto a quello dei nativi. La probabilità di passare da uno stato sano a uno malato è significativamente più elevata per tutti i gruppi di immigrati. In particolare, le persone nate nell’Europa orientale hanno maggiori probabilità di subire un peggioramento della salute percepita e delle forme di depressione sia nei confronti dei nativi, sia degli altri immigrati. Inoltre, hanno minori probabilità di recuperare dalla malattia. Le stime mostrano che gli immigrati dell’Est-Europa hanno circa il 57% di probabilità in più di subire modifiche negative per l’indicatore Sph (da sani a malati) rispetto ai nativi, mentre per gli altri immigrati europei il rischio di transizione allo stato malato è ...[continua]
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