La leggibilità di Penna è una delle sue qualità e caratteristiche più evidenti, cosa che spiega facilmente il sollievo di molti lettori che si sono sentiti respinti dalle difficoltà linguistiche e dalle oscurità programmatiche, provocatorie o gergali della lirica moderna. Penna è stato puro poeta, cioè puramente e semplicemente poeta, senza essere in nessun modo un consapevole poeta puro, nel senso della "poésie pure” teorizzata da Mallarmé, da Valéry e dall’Ermetismo. È stato poeta "totale” pur parlando sempre delle stesse cose, di condizioni climatiche e di attrazioni erotiche, di ebbrezze paniche e repentine malinconie. Scandalosa e misteriosa era la sua istintiva inclinazione monotematica verso il desiderio e la felicità fisica. Eppure, nonostante Penna abbia scritto poesie che non prevedono, non implicano spiegazioni e possono fare a meno di note esplicative e di commenti, sembra che i critici si siano arresi a lui, accettando la sfida di un autore che li esautora di autorità e di utilità. Cosa che non ha impedito ad alcuni di loro, in particolare a Pasolini e Garboli, di fare di Penna un oggetto di analisi pressoché interminabile, in cerca dell’ombra nascosta nella luce e della malattia occultata da un’apparenza di salute.
A questo punto la cosa migliore, quasi un obbligo nei confronti di questo poeta e dei suoi lettori, è ricordare di seguito alcuni famosi esempi dei suoi così memorabili epigrammi.
a) Il mare è tutto azzurro.
Il mare è tutto calmo.
Nel cuore è quasi un urlo
di gioia. E tutto è calmo.
b) Goffamente beati,
da odore di caserma,
si spogliano i soldati.
c) Esco dal mio lavoro tutto pieno
di aride parole. Ma al cancello
hanno posto gli dèi della mia gioia
un fanciullo che giuoca con la noia.
d) Eccoli gli operai sul prato verde
a mangiare: non sono forse belli?
Corrono le automobili d’intorno,
passan le genti piene di giornali.
Ma gli operai non sono forse belli?
e) Andassi anch’io per stracci. Avessi
anch’io vent’anni. Fossi
carino come te...
f) Fuggono i giorni lieti
lieti di bella età.
Non fuggono i divieti
alla felicità.
g) Amavo ogni cosa del mondo. E non avevo
che il mio bianco taccuino sotto il sole.
h) Sedere a una tavola ignota.
Dormire in un letto non mio.
Sentire la piazza già vuota.
Gonfiarsi in un tenero addio.
i) Felice chi è diverso
essendo egli diverso.
Ma guai a chi è diverso
essendo egli comune.
l) Tu mi lasci. Tu dici "la natura...”.
Cosa sanno le donne della tua bellezza.
m) Oh non ti dare arie
di superiorità.
Solo uno sguardo io vidi
degno di questa. Era
un bambino annoiato in una festa.
n) Forse la giovinezza è solo questo
perenne amare i sensi e non pentirsi.
o) Amore, amore,
lieto disonore.
Si potrebbe continuare. Le strofette, le quartine e i distici rimati di Penna possono creare assuefazione. Non si dimenticano più. Sono scariche di euforia, pillole di spavalda, arguta, liquidatoria verità che forse vale per tutti, ma questo non importa, perché è certo che vale per chi l’ha scritta. Sembra anzi che singolarità e solitudine, estraneità al senso e all’uso comuni, non siano per il poeta una condanna, ma una ...[continua]
Esegui il login per visualizzare il testo completo.
Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!