Una delle prime diagnosi, quella formulata da Fortini nel suo saggio Le poesie italiane di questi anni (1959), individua subito le ragioni e le radici della centralità di Zanzotto nei suoi precedenti prossimi e remoti, nella longevità della tradizione a cui consapevolmente appartiene: da Petrarca, Leopardi, Hoelderlin, D’ Annunzio, Ungaretti e Cardarelli, Eluard e Lorca, ma anche Metastasio, Zanella e Rilke, Fortini lo definisce un "ritardatario” nel quale si nota "una vaga eco di già udito”, tra elegia e inno: "Zanzotto rappresenta benissimo l’ultima fase della nostra lirica come ripresa di uno spirito che pareva scomparso e che torna sempre all’appuntamento, quando la società si immobilizza e la ‘natura’ si libera. La sua posizione, periferica rispetto a quella dei più, non manca di una religiosa severità”.
Quella che Fortini definisce così è in Zanzotto una specie di assorta, estatica visionarietà che moltiplica le facoltà associative e analogiche in un impeto di abbandoni affettivi che travalicano la percezione descrittiva e la trasformano in una spontanea fantasticheria mitopoietica e fiabesca. Due stralci esemplari:
(...)
Acqua ignara della creta
che giù fuoriesce dai suoi viluppi,
fiera del rosso momentaneo
dei fiori celebrati da quest’ora
tu vai dovunque lambendo e tentando
le più ritrose solitudini:
lasciatemela mia,
per la mia lampadina di chiocciola
per l’orto di che il nano è mezzadro,
lei dal fittissimo alfabeto
lei che ha i messaggi
di nobili invasioni
degli astri che ritornano dalle alpi
ormai pingui d’argento,
lei che va promettendo
una notte fresca come un domani.
(Dietro il paesaggio, da "L’acqua di Dolle”)
Mese di pochi giorni,
o tu dalla docile polpa,
chiaro collo curioso
seno caldo che nutre,
dolce uva nella gola,
teneri uccelli che si districano
dai vischi della lontananza
e che indugiano audacemente
tra gli equilibri delle dita
a illustrare le loro piume
e le loro gioie minute,
uccelli disingannati,
maiuscoli pavoni delle siepi,
aiuole come mazzi improvvisati,
laghi dallo stupore di goccia:
ogni albero ha dietro di sé
l’ombra sua bene abbigliata,
paradisi di crisantemi
si addensano in climi azzurri.
(Dietro il paesaggio, da "Declivio su Lorna”)
Questo associativo, enumerativo impeto pindarico, animato e moltiplicato da sorprendenti automatismi metaforici, dà subito la misura del lirismo a oltranza di Zanzotto. Il suo è un piccolo, a volte minuscolo mondo che si dilata in fughe multidirezionali. L’elementare materiale da costruzione è descrittivo (l’acqua, la creta, i fiori, l’orto, gli astri, le alpi) ma la logica che lega l’insieme è il contrario della descrizione. Il paesaggio si frantuma e si dissocia in qualificazioni antropomorfe: l’acqua è "ignara” e "fiera”, si muove e scorre "lambendo e tentando/le più ritrose solitudini”. L’acqua che scorre è divenuta una ninfa tentatrice e consolatrice. Il paesaggio di Zanzotto tende sempre al femminile, è un corpo di donna disseminato nelle sue qualità fisiche, nelle sue qualificazioni aggettivali. Può manifestarsi come "docile polpa” e "seno caldo che nutre”, alimento appagant ...[continua]
Esegui il login per visualizzare il testo completo.
Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!