Discutere della sinistra, della sua crisi in Italia e nel mondo e di cosa potrà essere nel futuro, un futuro di un mondo globalizzato alle prese con sconvolgimenti già prevedibili, ambientali, geopolitici, demografici, ci sembra un obiettivo politico quasi prioritario rispetto al contrasto, pure necessario, nel possibile, da portare alla crescita impetuosa di una destra reazionaria in tutto il mondo. Cominciamo con un saggio di Stefano Levi Della Torre, che ringraziamo. L’abbiamo diviso in due parti, la seconda nel prossimo numero.

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Le democrazie liberali del XX secolo, col loro Stato sociale, si sono basate sul compromesso tra borghesia e classe operaia, tra capitale e forza lavoro. Il compromesso bipolare dopo la II guerra mondiale era nello spirito della pace di Augusta e di Westfalia, cuius regio eius religio, e in Occidente, e soprattutto in Europa, il movimento operaio accettava i limiti posti dai rapporti di forza interni alle nazioni e agli equilibri geostrategici bipolari, mentre il capitale accettava riforme e Stato sociale. Nel 68, la prima generazione del dopoguerra contestava la cappa del compromesso bipolare nelle sue articolazioni nazionali, ma i movimenti erano dentro l’ambito globale del compromesso geostrategico postbellico, che garantiva la pace. In Italia, come nella Resistenza si aggirava lo spirito di un Risorgimento inconcluso ("fare gli italiani”), così nel 68 si aggirava lo spirito di una Resistenza inconclusa. Inconclusa per il compromesso postbellico, di cui erano garanti i partiti di centro e di sinistra, anche perciò contestati. Malgrado l’attività ininterrotta della reazione, tra la fine dei fascismi e il 2000 è stato, in Italia e in Europa, il periodo di massima affermazione possibile della democrazia liberale e riformista. 
Due fatti, l’uno geopolitico, l’altro strutturale, hanno segnato un crinale storico: la fine dell’Urss e il balzo informatico delle forze produttive e del capitale. Il primo fatto ha avuto due conseguenze principali: la crisi ideologica e politica delle sinistre, dai comunisti alla socialdemocrazia, e la trasformazione dell’assetto bipolare in una dinamica multipolare del mondo. La fine del bipolarismo ha prodotto una miriade di subimperialismi, passando da una relativa prevedibilità a una caotica imprevedibilità. Anche questo ha effetti sulle inquietudini e sulle paure che agitano questo periodo.
Il secondo fatto, la rivoluzione informatica, ha permesso al capitale di affrancarsi come non mai dalla dimensione nazionale per muoversi più liberamente sulla dimensione globale, estendendo ulteriormente la sua componente più fluida, quella finanziaria. E poiché la democrazia e i diritti sociali e civili hanno avuto la loro massima vigenza e capacità di compromesso, sociale, giuridico e fiscale, nella dimensione dello Stato-nazione, il capitale ha potuto affrancarsi da quella dimensione e quindi dal compromesso democratico, dallo stato di diritto e dal patto fiscale. 
Al che, le masse stanno rispondendo in Occidente in maniera per così dire simmetrica: di contro al "mondialismo” del capitale reagiscono ri-nazionalizzandosi. Rispondono all’appello nazionalistico delle destre, e mettendo in primo piano l’istinto di difesa, sono disposte a sacrificare libertà in cambio di sicurezza e diritti in cambio del soddisfacimento elementare del bisogno. Diritti non solo altrui, ma anche propri. Non era questa pulsione a proteggersi quella che aggregava il villaggio intorno al baluardo feudale? Non era questa domanda di difesa ad alimentare il Leviatano di Hobbes? Tralascio i corollari troppo noti: xenofobia, ostilità alle minoranze, capri espiatori, vittimismo, rivalsa maschilista… 
Che cosa dunque succede? Che il patto democratico tra capitale e forza lavoro come l’abbiamo conosciuto dal dopoguerra, e a cui ci eravamo abituati come a una conquista stabile, viene ora rotto da entrambi i contraenti: dal capitale mondializzato e dalle masse nazionalizzate. In mezzo, l’Ue, né carne né pesce, a mezzo guado tra Stati nazionali e confederazione sovranazionale.

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L’aumento del Pil non sta determinando un miglioramento generalizzato della condizioni di vita, come invece era avvenuto, seppure in modo discontinuo, a partire dal dopoguerra. La correlazione tra aumento del Pil e aumento del benessere che aveva portato alla società dei consumi era dovuto al modificarsi positivo dei rapporti di forza tra capitale e lavoro nell’ambito della demo ...[continua]

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