Dopo l’ermetismo, poetica tipicamente novecentesca e modernistica nata dalla radice del simbolismo di secondo Ottocento, il 1945 impose in tutta Europa il dovere dell’impegno morale e politico anche in letteratura. Non si trattò comunque della nascita di una vera e propria ideologia letteraria nuova e tantomeno di una teoria della poesia. Il neorealismo, se aveva un senso nel romanzo e nel cinema, non ne aveva molto in poesia. La consapevolezza politica, sociale e civile, spingeva i poeti a "parlare chiaro” e soprattutto a un più ampio pubblico di lettori, ma non prescriveva un particolare codice stilistico. Lo "spirito del ’45”, che fece nascere riviste come "Les Temps Modernes” di Jean-Paul Sartre e Maurice Merleau-Ponty in Francia e in Italia "Il Politecnico” di Elio Vittorini (con a fianco Franco Fortini), aveva in programma una rifondazione della cultura nel suo rapporto con la società e l’elaborazione di una nuova idea del ruolo pubblico di intellettuali e scrittori. Quanto alla poesia, c’era posto per diversi modelli: dal surrealista libertario Paul Eluard, al materialista dialettico Bertolt Brecht, a moralisti sociali inglesi di destra o di sinistra come Thomas S. Eliot e Wystan H. Auden o antifascisti come César Vallejo, Federico García Lorca, Pablo Neruda. In Italia, il primo bersaglio polemico, nonostante il grande prestigio acquisito da Ungaretti e Montale, fu proprio l’ermetismo in quanto "poesia pura” e stile allusivo, cifrato, ipermetaforico. Anche un tipico ermetico come Salvatore Quasimodo divenne dopo il 1945 un poeta "impegnato”.
Una vera svolta dovuta alla proposta di nuove ideologie letterarie arrivò solo nella metà degli anni Cinquanta con lo sperimentalismo proposto da Pasolini e la neoavanguardia teorizzata da Edoardo Sanguineti, con riviste come "Officina”, "Il Verri” e in parte "Il Menabò”. Lo sperimentalismo correggeva la genericità estetica del neorealismo mettendo in discussione l’idea di un’arte intesa come rispecchiamento (benché "dialettico”) della realtà e il concetto stesso di realtà. Sperimentare significava focalizzare e problematizzare il punto di contatto e di incontro fra percezioni, idee, lingua e tradizioni formali più o meno consapevolmente ereditate.
Mentre lo sperimentalismo realistico di Pasolini aveva come riferimento politico e culturale gli scritti di Gramsci, la neoavanguardia apriva una polemica "modernizzatrice” contro il reale o presunto provincialismo del letterato italiano (peraltro già messo in discussione dieci anni prima dal "Politecnico”). Nasceva così quell’eclettico laboratorio internazionale di filosofie, scienze umane (sociologia, psicologia, linguistica) e teorie estetiche che caratterizzò gli anni sessanta. Con la formazione del Gruppo 63 (costituitosi a Palermo nello stesso anno) la neoavanguardia riprende la tradizione novecentesca degli schieramenti estetico-politici e della combattività autopromozionale di gruppo già praticata con fortuna da futuristi e surrealisti. Il successo, tra anni Sessanta e Settanta, di scrittori e teorici militanti come Sanguineti e Umberto Eco, sia autorevoli e brillanti docenti universitari che aggressivi polemisti, fu dovuto all’impatto provocato dalla coesione del gruppo e alla sua presenza in ambito editoriale e giornalistico.
Come per ogni precedente avanguardia, ciò che suscitò più discussioni sul Gruppo 63 fu il rapporto fra programmi e realizzazioni, fra dichiarazioni critiche e opere letterarie. Sebbene circolasse in quegli anni un concetto di "anti-opera” che poteva giustificare a priori ogni fallimento artistico individuale, alla fine gli stessi avanguardisti non si mostrarono indifferenti al problema e non nascosero affatto la loro ambizione di produrre valori artistici solidi e stabili benché provocatoriamente innovatori o (come si diceva) "rivoluzionari”.
A distanza di mezzo secolo, tra sperimentalismo e neoavanguardia, i poeti più notevoli sembrano essere Elio Pagliarani, Sanguineti e Giancarlo Majorino. L’antologia I Novissimi uscì nel 1961 a cura e con introduzione di Alfredo Giuliani, notevole critico e lui stesso poeta. Fra i cinque autori antologizzati (Pagliarani, Sanguineti, Nanni Balestrini, Antonio Porta e lo stesso Giuliani) le differenze tecniche e di qualità erano evidenti, anche se piuttosto occultate dall’autointerpretazione di gruppo che l’antologia propugnava. Pagliarani aveva allora già pubblicato il meglio della sua opera, la raccolta Inventario privato (19
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