A un certo punto del Novecento, il Novecento letterario finisce. Da un lato comincia a finire perché chi scrive sente di essere entrato in una specie di aldilà storico (succede con Satura di Montale e con Trasumanar e organizzar di Pasolini). Dall’altro, in un poeta come Giovanni Raboni, milanese nato nel 1932, da quell’aldilà storico si fruisce di un intero secolo di poesia come di un prezioso, suggestivo repertorio da riusare e a cui ispirarsi.
Raboni non è mai stato neppure sfiorato dallo spirito delle avanguardie e dal pathos nichilistico dell’interruzione di continuità con ogni passato. È piuttosto l’uomo della continuità, l’opposto di Sanguineti. È anche immune da ogni spirito dissacratorio, comico o critico-grottesco. Invece di desublimare, Raboni crea aura e vibrazione lirica intorno alle occasioni e circostanze di cui scrive. Anche se con grande eleganza e stile impeccabile, "poeticizza”. E per farlo può ispirarsi tanto a Montale quanto a Rebora, a Bertolucci o a Fortini, a Sereni ma anche a Luzi. C’è in lui una religione della poesia, perché fuori della poesia trova ben poco di interessante a cui credere. Tutta la realtà è poetizzabile grazie a uno strumento stilistico estremamente duttile e versatile. Solo che la sua realtà è "materia sottile” le cui intensità sono difficili da afferrare. In quello stile si sente perciò rivivere l’eredità del Novecento poetico italiano, con qualche robusta integrazione francese: da un grande e inarrivabile classico della modernità come Baudelaire a un fondamentale "minore” come Apollinaire, per arrivare alla poesia onnipresente nella prosa di Proust, alle cui incantatorie reti sintattiche niente sfugge. Fra vibrazioni estetiche e ombre etiche, accensioni emotive, indignazioni o delusioni, quella di Raboni è la poesia di un consapevole, sensibilissimo epigono, il cui super-io sembra fatto interamente di vasta e ben assimilata cultura letteraria. Il suo mondo è abitato da benigni, addolorati, insinuanti fantasmi che sembrano chiedere al poeta una sola cosa: la sua inquietudine e le sue qualità medianiche.
Il poeta è dunque un medium che dà voce agli scomparsi, ai morti, vivendo la loro presenza e assenza come un perpetuo assillo, come un’ansia da cui non ci si libera perché è solo dal sottofondo subliminale e onirico della quotidianità che ogni momento della vita può essere riconosciuto essenziale e diventare poesia. Ogni qui e ora contiene per Raboni un altrove di amori perduti, rimpianti e rimorsi, sentimenti di lontananza e di prossimità di tutto ciò che in una vita è e non è, è stato e non è più, o non è mai stato davvero.
In questo senso l’epigonismo poetico di Raboni rispetto alla tradizione del Novecento ha un carattere sia autobiografico e sentimentale che critico. Nella sua attività saggistica e critica Raboni è stato infatti un abile, autorevole mediatore e amministratore della continuità fra il passato novecentesco e i nuovi poeti apparsi sulla scena a metà degli anni Settanta. Questa continuità riviveva però molto più in lui che nella poesia e nella coscienza dei più giovani. In realtà, a partire dagli anni Settanta, il Novecento stava subendo proprio un’interruzione di continuità. Se erano e sarebbero stati ancora produttivi poeti come Montale, Sereni, Bertolucci, Caproni, Zanzotto e Giudici, la loro influenza era tuttavia declinata o scomparsa del tutto e non lasciava tracce negli autori più giovani, nei quali il presupposto di coscienza critica e storica della scrittura in versi stava indebolendosi o scomparendo. Raboni non percepì o non volle percepire questo salto generazionale e questa distanza culturale tra sé e i poeti che si adoperava a promuovere.
Dopo gli esordi, il libro più importante di Raboni è Cadenza d’inganno, pubblicato nel 1975. Ha osservato Giulio Ferroni che a partire da questo libro diventa insistente il tema della morte "che suggerisce segni e ombre, quasi percezioni di una continuità tra la vita dei morti (le persone amate e in primo luogo la madre) e quella di chi vive nel presente”. Questo lutto e queste nostalgie e visitazioni dei trapassati si potrebbero interpretare estensivamente come intuizioni culturali, storiche, oltre che più ovviamente come sentimenti privati. Fra le persone da Raboni più amate ci sono senza dubbio i poeti del Novecento e fantasma in un certo senso materno è anche la poesia, la sua tradizione che sta forse per inabissarsi nell’oblio. È questo, naturalmente, un discutibile azzardo
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