Quando all’inizio del secolo scorso uscirono le prime opere propriamente e classicamente psicanalitiche di Freud, L’interpretazione dei sogni e Psicopatologia della vita quotidiana, si può dire che la soggettività individuale, con le sue anomalie, le sue contraddizioni, i suoi conflitti e misteri fosse sotto osservazione da tempo, almeno da quando, nel 1782, uscirono postume le scandalose Confessioni di Rousseau. Poco dopo era esploso il Romanticismo in Inghilterra e in Germania, a cui seguirono il Simbolismo e il cosiddetto Decadentismo, fra un libro poetico inusitato, abnorme come I fiori del male (1857) di Baudelaire e un romanzo sul parricidio come I fratelli Karamazov (1880) di Dostoevskij, autore al quale Freud disse di dovere molto.
Sogni e alterazioni del senso di realtà erano fenomeni divenuti già comuni nella cultura artistica e letteraria; ma a fine Ottocento l’inquietante rapporto fra genialità e crimine, vita interiore e patologie psichiche, istinti erotici e regole sociali avevano già ampiamente interessato la scienza. Freud era un medico e uno psichiatra che cominciò con lo studio empirico e sistematico di comportamenti umani in apparenza insignificanti per elaborare poi un metodo terapeutico. Ma attraverso l’analisi e l’interpretazione dell’attività onirica, dei lapsus, delle battute di spirito, delle fantasie erotiche e della stessa vita sessuale, Freud arrivò infine a riflessioni generali e originali sulla vita sociale e sulla stessa costruzione originaria di ciò che chiamiamo civiltà. Così, una rinnovata e più approfondita coscienza scientifica della quotidianità dei singoli portò Freud a una nuova antropologia dell’umanità occidentale e a considerazioni sul destino della società borghese e della cultura di massa.
Se si considera l’insieme della sua opera, Freud psicologo e terapeuta risulta perciò difficilmente separabile da Freud filosofo, moralista, umanista e critico sociale. È in questo senso che lo si accosta a due pensatori e scienziati rivoluzionari come il sociologo politico Marx e il fisico e cosmologo Einstein. Scienziato di ciò che in precedenza si sottraeva alla scienza, cioè l’inconscio, e critico della cultura e dei rapporti umani considerati più ovvi e normali, più morali e doverosi, Freud ha esercitato nella cultura e perfino nel senso comune dell’ultimo secolo un’influenza quasi incalcolabile che va dall’estetica alla politica, dalle arti d’avanguardia all’industria culturale, alla moda, alla pubblicità. Anche nel Duemila e nonostante l’imporsi delle neuroscienze, del cognitivismo, e l’uso e l’abuso degli psicofarmaci e qualche nuova fede orientalistica, il senso comune culturale è più freudiano che cristiano o democratico o socialista, con la conseguenza però che la complessità del pensiero di Freud viene ridotta a una serie di luoghi comuni che diventa facile disprezzare o assumere come dogmi.
Può essere interessante rileggere quanto scrisse uno psichiatra critico e psicoterapeuta come Giovanni Jervis: “Freud è stato frainteso e ridotto, proprio in quanto lo si è isolato, non si è voluto studiare il rapporto che lega da un lato la sua cultura personale, la sua ideologia, il suo sistema di pensiero e dall’altro i suoi predecessori nel campo della psicologia dinamica, i filosofi dell’Ottocento che influenzarono il suo pensiero, come Nietzsche, e l’intero mondo culturale della Vienna a cavallo dei due secoli”.
Letto come un classico del pensiero moderno e novecentesco Freud risulta essere sia uno studioso dei rapporti fra coscienza e inconscio a scopo terapeutico, sia un critico delle dinamiche che intercorrono fra individuo e società. Il suo Psicologia delle masse e analisi dell’Io, pubblicato nel 1921, quando aveva sessantacinque anni, si apre con queste parole: “La contrapposizione fra psicologia individuale ...[continua]
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