dalle rivolte dei lavoratori agricoli, le Swing Riots del 1830 ai Martiri di Tolpuddle (sei braccianti del villaggio di Tolpuddle nel Dorset, che, nel 1834, furono condannati per aver creato un’associazione di tipo sindacale), dai manifestanti di Cable Street contro i fascisti britannici all’attivista Swampy rintanato nei tunnel sotto l’aeroporto di Manchester, dalle rivolte contro la Poll Tax alle marce contro la guerra in Iraq del 2003, i britannici hanno sempre cercato di proteggere il loro diritto di protestare. Nei decenni passati, anche di fronte alla violenza della polizia, abbiamo creduto che lo Stato capisse e, almeno a parole, difendesse il nostro diritto di manifestare. Era una storia confortante che ci raccontavamo anche quando la polizia caricava i minatori a Orgreave o bloccava gli studenti in protesta per ore. Ma oggi il nostro diritto umano di protestare viene minacciato da un nuovo disegno di legge del governo riguardante polizia, crimini, sentenze e tribunali.
Il governo ha già fatto ricorso a poteri straordinari per soffocare le proteste durante la pandemia; secondo Liberty (già Consiglio Nazionale per le Libertà Civili, fondato nel 1934, dopo i brutali tentativi della polizia di fermare le proteste durante le marce della fame di quel tempo), ci troviamo oggi di fronte a un preoccupante attacco alle nostre libertà civili fondamentali.
Siamo nell’inverno della nostra democrazia.
Questo progetto di legge aumenterà i poteri della polizia che potrà impedire le proteste, fermare e perquisire le persone, criminalizzare le comunità rom e nomadi. Non è solo il contenuto ad allarmare; è la modalità con cui il disegno di legge è stato presentato e fatto passare in Parlamento.
George Monbiot, editorialista e scrittore, in un articolo uscito sul “Guardian” il primo dicembre, l’ha definito “roba da vero e proprio stato di polizia”. “Priti Patel, segretaria agli Interni, ha infilato nella legge 18 pagine extra dopo che già era passata alla Camera dei Comuni e dopo la seconda lettura alla Camera dei Lord. Sembra una manovra deliberata per evitare un effettivo controllo parlamentare. Eppure nella maggior parte dei media c’è un silenzio clamoroso”.
Ma non c’è solo questo. Viviamo ormai nella distrazione, ed è come se non riuscissimo a capacitarci del fatto che questo governo potrebbe arrivare a “sbatterci dentro” per aver protestato per 51 settimane. Nella nostra tanto decantata democrazia(?), ora diventerà illegale per i manifestanti attaccarsi a un’altra persona, incatenarsi a un oggetto o incollare le mani sulla strada (come è accaduto). Non solo, la polizia avrà il diritto di fermare e perquisire le persone anche senza fondati sospetti se ritiene che una protesta “possa avvenire in quella zona”. La resistenza è inutile e sì, avete indovinato, chiunque lo faccia può essere imprigionato fino a 51 settimane. I nuovi poteri permetteranno di vietare a determinate persone di partecipare a una protesta. Partecipare a una protesta potrebbe, di per sé, essere considerato un atto criminale. Queste non sono le disposizioni di uno stato che rispetta il diritto dei propri cittadini di chiedere conto del suo operato. Queste sono misure oltraggiose.
Alla fine dell’articolo di Monbiot, egli cita altri attacchi del governo Johnson alla democrazia, tra cui la proposta di legge sul “Voter ID”, che potrebbe dissuadere due milioni di cittadini dal votare, e poi la prevista revisione della Commissione Elettorale responsabile della supervisione delle elezioni e l’oltraggiosa e sinistra proposta di “ordini civili” che potrebbero “vedere i giornalisti trattati come spie e vietare loro di incontrare certe persone o visitare certi luoghi”. Potrei aggiungere a questa lista le speculazioni sul concedere al governo di ribaltare le sentenze legali di cui non gradisce l’esito. Non è solo deprimente, è terrificante, e se siamo già passati di qui in passato, evidentemente abbiamo dimenticato la nostra storia. Abbiamo dato per scontata la nostra democrazia, l’abbiamo indossata con leggerezza e all’improvviso si è rivelata molto fragile; è come se potesse essere spazzata via da questo vento sferzante.
L’articolo di Monbiot termina con un paio di domande. “Allora? Dove sono finiti tutti quanti? Perché queste cose non stanno su tutte le prime pagine? Perché non siamo in strada a milioni a protestare finché possiamo? Se non facciamo uso delle nostre libertà le perdiamo. E siamo molto vicini a perderle”.
È com ...[continua]
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