Già arrestato per antifascismo per quattro mesi nel gennaio 1932, nel 1934 scappò dall’Italia e visse tra la Svizzera e la Francia, continuando i suoi studi alla Sorbona e impegnandosi con Giustizia e Libertà. A fine del 1935 insieme ad Andrea Caffi, Nicola Chiaromonte e Mario Levi lasciò Giustizia e Libertà per dissidi con Carlo Rosselli sulle prospettive del lavoro politico dell’organizzazione.
Clara Lollini, sposatasi con il chimico sardo antifascista Michele Giua, e madre anche di Franco e Lisetta Foa, proveniva da una famiglia emiliana socialista. Lo zio Gregorio Agnini, fondatore delle leghe dei braccianti e deputato socialista per trent’anni, a ottantanove anni, come decano, presiedette la Consulta e il 25 settembre 1945 pronunciò il discorso inaugurale, con un accento fortemente anticlericale. I genitori di Clara, Elisa Agnini e l’avvocato Vittorio Lollini, stabilitisi a Roma, fecero importanti battaglie per i diritti delle donne e per il sostegno alle donne lavoratrici.
Clara, scomparsa nel 1987 a 99 anni, è stata una colonna portante della famiglia negli anni difficili del fascismo e della guerra. Anche lei chimica, sostentò la famiglia con traduzioni e lavori scientifici dopo l’arresto e la condanna a 15 anni da parte del Tribunale Speciale di suo marito Michele Giua. Dopo l’8 settembre, si rifugiò in Val Pellice con lui, tornato in cattive condizioni dal carcere e ricercato come antifascista. Là riuscì a evitare, parlando in tedesco, che i nazisti bruciassero la casa dove vivevano. Fu una donna di grande forza d’animo. La madre di Sparta che suo figlio Renzo, in una sua lettera, si augurava che diventasse. Ma anche intelligente, affettuosa, piena d’amore e cure per la figlia rimastale e i nipoti. Da quel viaggio in Spagna tornò con un ramoscello d’ulivo, raccolto sul luogo dove suo figlio era caduto (Le nipoti di Clara, Anna e Bettina).
Cerberes-Port-Bou. Passata la visita rigorosa alla dogana, il controllo severo del passaporto, affrontato con un certo timore. Non si sa mai, si fossero pentiti… I viaggiatori che si affollano ai vari sportelli, provenienti quasi esclusivamente dalla Francia, appaiono indifferenti: forse sono commercianti stabilitisi in quel paese che ritornano a casa per la settimana santa. Valenza e Siviglia con le loro fantastiche processioni sono dei simboli laggiù e ovunque se ne vedono le reclames multicolori. Gli altri sembra viaggino per affari e per diporto: questi ultimi, gli aristocratici, i favoriti del regime e le alte gerarchie, ché ottenere il visto di uscita è cosa difficilissima. Allo straniero consegnano, dietro pagamento di una peseta, una tessera che riuscirà inutile.
Finalmente il treno si muove, passa fra alture: sulla strada e verso l’alto vigilano sentinelle. Sembra impossibile l’espatrio clandestino: ma si sa che da una parte all’altra della frontiera le file sono tante. Terra dolorosa di Spagna! Eppure la Catalogna verde e fertile sembra un paese idilliaco. A ogni stazione sale gente, sì che le terze sono presto sovraccariche: soldati che vanno in licenza -prestano servizio da quattro anni- molta piccola gente che la vita di ogni giorno assorbe interamente. All’apparenza si direbbe gente gaia e spensierata, ma è soltanto apparenza, perché anche i giovani parlano dei prezzi, di quello che troveranno a casa: ma la parlata catalana è stretta e rapida e molto mi sfugge.
Italiana? Si sta male, vero, da voi? Affatto, rispondo. Poco da mangiare, niente scarpe? -Fin che se ne vuole, di tutto c’è.- Scioperi, rivoluzione?- Ma no, quel tanto che è inevitabile. Non posso fare troppe distinzioni, discendere a troppe sottigliezze. Basta un’affermazione che contrapponga la nostra libertà -sappiamo noi poi di quante lacrime e sangue grondi ancora- al fascismo di Franco. L’affermazione non è raccolta. Silenzio assoluto. Dopo un po’ mi chiedono dei prezzi e li confrontano coi loro. Vedi ...[continua]
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