Nella storia della sociologia, quella di Werner Sombart è una figura controversa. Soprattutto perché i suoi due autori di riferimento, Karl Marx e Max Weber, sono immancabilmente considerati, non a torto, superiori quanto a solidità sistematica di pensiero. Ciò non significa che il carattere più intuitivo e “artistico” della sociologia di Sombart (1863-1941) non gli abbia permesso di illuminare aspetti tutt’altro che secondari della borghesia e dello “stile di vita” capitalistico, sottovalutati o diversamente interpretati sia da Weber che da Marx. Nel primo, come è noto, il concetto decisivo per capire il capitalismo è quello di Burocrazia in quanto razionalizzazione organizzativa della vita sociale. In Marx il capitalismo vive invece di lotta di classe, di potere dispotico borghese esercitato sul proletariato industriale, o classe operaia. Se il capitalismo, la borghesia e lo “spirito borghese” non sono finiti come Marx pensava, le sue successive metamorfosi espansive, dal “tardo” o “neo” capitalismo in poi, hanno fatto emergere dati di fatto sociologici e socioculturali che a Marx non fu facile prevedere. Da quando il marxismo, usato come sintesi dottrinale del pensiero di Marx, ha smesso di essere l’ortodossia politica dei partiti comunisti, le cosiddette eterodossie, o varianti, nell’analisi del capitalismo borghese, possono essere utilizzate più liberamente. La scientificità delle scienze sociali risente inevitabilmente della soggettività degli studiosi più di quanto possa avvenire nelle scienze naturali. E come è stato osservato, Sombart aveva con la borghesia un rapporto personale che ha conferito al suo libro Il borghese, pubblicato nel 1913, una coloritura autobiografica. Del resto anche Engels fu un preziosissimo collaboratore di Marx non soltanto per il suo acume dialettico e le sue attitudini di scrittore, ma anche perché era lui stesso un borghese capitalista, dato che dirigeva a Manchester l’industria tessile di suo padre: ne poteva vedere e studiare da vicino il funzionamento nel rapporto produttivo fra operai e macchine. Sombart era figlio di un ricco proprietario terriero la cui lungimiranza lo portò a investire nella modernizzazione e industrializzazione dell’agricoltura. Il fragile stato di salute di suo figlio Werner ne fece un raffinato intellettuale inadatto alla vita di uomo d’affari: un amante dell’Italia che per curarsi e rafforzare il proprio stato di salute sentì il bisogno di un clima più meridionale, guidato in questo da illustri predecessori come Winkelmann, Goethe, Gregorovius.
Lo studio del movimento socialista e del capitalismo portarono Sombart a introdurre il pensiero di Marx in ambienti universitari che preferivano ignorarlo. Ma il suo orientamento teorico non era propriamente marxista, né materialista. L’introduzione al suo libro Il borghese si apre con un paragrafo intitolato “Lo spirito nella vita economica”, in cui viene subito precisato: “Questo studio si propone di descrivere i mutamenti attraverso i quali è passato lo spirito economico nella storia delle civiltà europee occidentali e della civiltà americana, e in modo particolare il sorgere di quello spirito che quasi domina il nostro tempo: lo spirito capitalistico”. A differenza di Marx, per Sombart non è l’economia a creare il pensiero, la coscienza e le idee, è piuttosto lo spirito, cioè la cultura. In questo i popoli europei hanno dato un contributo decisivo e originale allo “sviluppo della coscienza economica”. E ancora una volta a differenza di Marx, secondo Sombart “l’uomo precapitalistico”, cioè “l’uomo naturale come Dio l’ha creato, non camminava a testa in giù sostenendosi con le mani come l’uomo economico dei tempi nostri”: stava invece “ben saldo sulle sue gambe” e con esse attraversava il mondo.
L’uomo economico moderno vive perciò contro natura, cammina a testa in giù; mentre nell’economia precapitalistica al primo posto ci sono le “necessità umane” cioè il “naturale bisogno di beni”, e quindi quanti beni si consumano, tanti beni devono essere prodotti. La misura di questi beni di sussistenza aveva certo il suo fondamento nello status sociale di individui e classi: aveva però una sua precisa misura stabilita. Signori e contadini, artigiani e commercianti, lavoratori manuali e addetti alla cultura, al gioco e al divertimento, avevano il proprio rango ed era questo a determinare la quantità e qualità dei beni di sussistenza. Nell’economia precapitalistica era assente un’avidità di guadagno
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