“Ma allora posso dire che sono postuma!”  espressione che aveva sentito utilizzare in famiglia per parlare della sua condizione di figlia nata pochi mesi dopo la morte del padre. Clotilde Pontecorvo raccontava così come, nei terribili mesi della occupazione di Roma, lei bambina ebrea, ospitata con la mamma in un istituto religioso, di fronte alla pressante raccomandazione di non dire mai a scuola o per strada o altro di essere ebrea, si assicurava di avere comunque un aggettivo, che la connotasse, per rispondere a una pericolosa domanda diretta! In questo episodio esprimeva già una preziosa qualità che l’ha accompagnata per tutta la sua vita di studio e di grande e originale produzione scientifica, fatta di serietà, di impegno rigoroso e di razionale e intelligente abitudine a guardare la realtà e a misurarsi con questa. Si iscrive alla facoltà di Filosofia della Sapienza a metà degli anni Cinquanta, nel momento in cui la stessa prospettiva di insegnare questa disciplina nei licei diveniva realtà anche per le ragazze, da poco il concorso bandito per questo insegnamento nei licei le prevedeva; il suo obiettivo è quello di orientarsi allo studio della Psicologia e della Pedagogia, discipline allora “mal rappresentate all’Università di Roma”, come lei stessa  ricorda. Dopo aver conseguito la laurea con una tesi su Benjamin Constant, si iscrive al Cepas (Centro di Educazione Professionale per Assistenti Sociali), le cosiddette Scuole Nuove che, fondate a partire dal 1946 da G. Calogero e Maria Comandini Calogero, nel clima di rinascita morale e materiale del dopoguerra, contribuirono a delineare nuove figure professionali di lavoratori sociali; in quell’ambiente  è significativo per la sua formazione l’incontro tra discipline pedagogiche e psicologiche che si determinava in una scuola, aperta a giovani di ambo i sessi, basata su esperienze formative nuove a partire da una rigorosa preparazione storico sociale e che costruiva un orientamento specifico al lavoro di gruppo in lezioni pubbliche, aperte a pubblici diversi.
Fino al 1971, vincitrice del concorso per l’insegnamento, è docente di filosofia e pedagogia nella scuola secondaria superiore, intanto completa la sua preparazione specializzandosi in Psicologia presso l’Ateneo Salesiano insieme al marito Maurizio Pontecorvo. Su segnalazione del prof. Visalberghi, ormai arrivato alla cattedra di Pedagogia della Sapienza, partecipa a un seminario promosso da Unesco e Ministero dell’Education francese, seminario diretto dal prof. G. De Landsheere; da qui inizia la sua attiva partecipazione, anche a livello internazionale, agli studi di  ricerca scientifica nell’ambito della psicopedagogia sperimentale.
La sua carriera universitaria inizia nell’anno accademico 1972-’75 (professoressa incaricata di Docimologia alla Sapienza), tra il 1975 e il ’78 insegna Pedagogia all’università di Salerno dove diventa ordinaria nel 1976 per passare successivamente, nel 1983, a insegnare alla Sapienza  Psicologia dell’educazione. Questo insegnamento è collocato nel Dipartimento Psicologia dei processi di Sviluppo e Socializzazione, di cui diviene il primo direttore.
Dal 1984 al 1998 è docente di Psicologia dell’educazione e di Psicologia del linguaggio e della comunicazione. Con il suo pensionamento è nominata Professore emerito. Molto si potrebbe ancora scrivere sul percorso accademico di Clotilde Pontecorvo, che  si svolge, spesso indirizzato dal suo impegno continuo dall’interno, intrecciato e orientato dalle modalità in cui hanno trovato spazi e collocazioni gli studi delle discipline psicopedagogiche. Un lavoro caratterizzato dalla sua attenzione per gli approfondimenti dei contesti sociali di riferimento, e di verifiche sperimentali sul campo, perché l’approccio laboratoriale, come metodologia di ricerca, rimane sempre la cifra della sua presenza nell’insegnamento universitario e non solo. Di tutto questo è testimonianza la ricchezza della sua produzione e l’importante gruppo di persone che ha indirizzato, coltivato, formato e seguito nel corso della sua carriera.
Per ricostruire la sua straordinaria e innovativa presenza nella cultura italiana, non solo negli studi psicopedagogici, basti sfogliare la sua ricchissima bibliografia dal 1968 fino a oggi, che documenta e raccoglie la sua lettura critica di Piaget, il suo confronto, per citare solo due dei grandi nomi, con J. Bruner, L. S. Vygotskij insieme a moltissimi altri.
È tempo di cambiare-nuove visioni dell’in ...[continua]

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