Provo rimpianto per non poter più avere un confronto diretto con Clotilde Pontecorvo, una studiosa innovatrice e acuta che con passione e rigore ha dato un grande contributo alla ricerca educativa, legando strettamente ricerca di base e ricerca applicata. A conforto della sua perdita, penso soprattutto ai suoi numerosi scritti e alle sue azioni che costituiscono un lascito davvero prezioso, come ha scritto Vittoria Gallina; ne possiamo ancora godere ed è importante farlo conoscere ai giovani.
La formazione degli insegnanti è stato un argomento a cui Clotilde ha sempre tenuto molto: per svilupparlo si è impegnata in modo incisivo a differenti livelli e anche in sedi istituzionali diverse. È un tema che si inserisce, in modo integrato, in quella che è stata definita la “sua lunga tessitura di azione, di ricerche e di pensieri”. Anche in tempi recentissimi ha continuato ad affrontare con perspicacia e determinazione problematiche fondamentali per il mondo della scuola e degli insegnanti; ne sono testimonianza anche i gruppi di studio e di confronto su temi della professione docente da lei promossi nell’ambito delle attività del Centro studi Clotilde e Maurizio Pontecorvo in collaborazione col Cemea.
Sono tanti i ricordi che mi legano a Clotilde Pontecorvo, ma in questo momento quello che avverto come più vibrante è il nostro ultimo incontro in presenza avvenuto a Roma il 20 dicembre 2021, dunque meno di un anno fa, in occasione del convegno sul dottorato di ricerca consortile di Pedagogia sperimentale.
Quell’incontro si impone in primo piano perché ebbi l’opportunità di avere con lei un dialogo, breve ma intenso, sulle avvilenti condizioni attuali della formazione degli insegnanti secondari e sulla necessità di non disperdere le approfondite elaborazioni fatte prima e durante la realizzazione della Scuola di Specializzazione all’Insegnamento Secondario (Ssis), avviata nel 1999 e interrotta senza un adeguato bilancio. Ci vedemmo a Villa Mirafiori, la sede in cui nella seconda metà degli anni ’80 fu istituito il Centro d’Ateneo di Ricerca sulla Formazione e Innovazione Didattica (Carfid), alla cui nascita Clotilde Pontecorvo collaborò e che diresse dal 1995 al 1998. La formazione, per usare parole sue, ha infatti bisogno di ricerca: ricerca sulla formazione e anche ricerca dentro la formazione.
Clotilde Pontecorvo conosceva bene il quadro normativo, le discussioni e le proposte elaborate, così come conosceva molto bene il mondo della scuola e partecipò al rinnovamento della formazione iniziale degli insegnanti con un costante contributo di idee innovatrici e di azioni.
Per Clotilde Pontecorvo dare professionalità all’insegnamento come attività specializzata e qualificata non può consistere semplicemente nell’introduzione e aggiunta alla fine di un corso di laurea di un certo numero di insegnamenti pedagogici, psicologici e socio-antropologici con la garanzia che da questo processo “uscirà” un buon insegnante o comunque un insegnante. Occorre necessariamente far riferimento al profilo professionale, che costituisce lo sfondo rispetto a cui si compiono scelte e si propongono curricoli (quindi contenuti, tempi e modi). Non si può dunque prescindere a suo avviso dalla modalità di esercizio del mestiere che deve essere svolto ad un alto livello qualitativo; è pertanto necessario insistere sul saper fare dell’insegnante.
C’è un “saper fare” generale che secondo Clotilde Pontecorvo deve essere padroneggiato da tutte/tutti gli insegnanti. Ovviamente questo non significa che non vi siano differenze notevoli tra l’insegnante di scuola dell’infanzia per i bambini di 3-4 anni e chi si rivolge ai ragazzi di 12-13 anni e ancor più chi insegna ad adolescenti e giovani di 16-17; sono differenze che riguardano le variabilità evolutive e sociali, ma coinvolgono anche le dimensioni della scuola, gli scambi richiesti agli adulti, la collocazione in rapporto al territorio.
A proposito del “saper fare” generale, a suo avviso essenziale, va considerato in primo luogo che l’insegnamento è un’attività che si svolge in un tempo e in uno spazio per cui occorre saper organizzare il tempo e lo spazio, per fare della scuola un ambiente per l’apprendimento. Un altro “saper fare’ è relativo alla gestione del curricolo formativo e del processo di apprendimento; attraverso una sapiente regia di una progettazione curricolare flessibile, occorre rendere sistematiche, ricche e motivanti le attività didattiche. Importante è che il futuro insegnante sappia gestire il discorso in classe e l’interazione verbale di tutti, anche nella diversità dei gruppi (dal piccolo gruppo al gruppo classe o interclasse) come strumenti di costruzione di conoscenze e abilità, di arricchimento dell’esperienza, di stabilità emotiva. Ciò significa saper ascoltare, osservare, raccogliere le istanze, le opinioni, anche le incomprensioni dei ragazzi.
Durante la formazione iniziale, occorrerebbe fare con i futuri insegnanti quello che si vorrebbe che loro fossero poi capaci di fare con i loro futuri allievi. Rispetto alle quattro aree del curricolo della Ssis, vale a dire l’area di Scienze dell’Educazione, l’area della Didattica disciplinare, il Laboratorio didattico e il Tirocinio, per Clotilde Pontecorvo la sfida più forte per l’università riguarda l’organizzazione del laboratorio didattico, così come quella del tirocinio, che implica il rapporto tra università e scuola, con la collaborazione dei supervisori, insegnanti secondari distaccati a tempo parziale all’università. Pensando alle trasformazioni della formazione iniziale dopo la Ssis, non si può che prendere atto dei passi indietro su tanti fronti, dal curricolo formativo sganciato da un chiaro profilo professionale e dalla mancanza dei coordinamenti nazionali alla valorizzazione degli insegnanti ridotti sempre più al rango di impiegati e al dominio delle classifiche e dell’efficienza produttiva. Di questo parlammo sinteticamente in quel 20 dicembre scorso. Anche in quell’occasione Clotilde mi fece capire concretamente l’importanza di rilanciare un pensiero “collettivo” sulla formazione dei futuri insegnanti secondari, prendendo come punto di avvio la documentazione scritta sugli esiti delle discussioni connesse alla Ssis e sulle problematiche delle scelte concrete in esse operate.
Lucia Giovannini
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Articolo di Lucia Giovannini
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