Su Facebook appare una notizia: Ken Loach ha rifiutato il premio conferitogli dal Festival di Torino, seguono i soliti commenti di gente indignata. Il fatto è vero? Sì, ma risale a undici anni fa. Quanto sopra non è un ennesimo lamento sul funzionamento dei social media ma un esempio banale per sostenere un’ipotesi non banale. Penso che viviamo in un tempo in cui il Tempo non esiste più; è come se vivessimo in un eterno passato, dove il presente è immutabile e il futuro inesistente perché inimmaginabile. Mi riferisco ovviamente al pubblico dibattito, in Italia e non solo.
A dire la verità a contendere il passato come spazio e luogo di battaglia sono state le destre populiste, diversi anni fa. In Italia fu Berlusconi, negli anni Novanta, a scendere in campo per “fermare i comunisti”, là dove il comunismo non esisteva più. O meglio, non esisteva come sistema di potere consolidato, dominato dall’Unione sovietica. È come se il leader di Forza Italia avesse reinventato un virtuale Muro di Berlino là dove il vero Muro era crollato e nessun pericolo veniva dall’Est (salvo poi -anni dopo- diventare amico di Putin, ma questa è un’altra storia). Si potrebbe continuare con i populisti polacchi che una ventina di anni fa diedero battaglia per riaprire le questioni chiuse dagli accordi del 1989 fra il potere comunista e Solidarnosc e che portarono alla transizione democratica pacifica e senza scossoni. E anche oggi, in fondo, nella narrazione delle destre europee c’è poco racconto del futuro e tantissimo attaccamento al passato. Non è nostalgia del fascismo (un’ideologia e una prassi politica che comporta una modernizzazione autoritaria), ma, al contrario, è una fuga dal futuro, verso la semplificazione, là dove il cambiamento tecnologico e di modi di vita è percepito come “troppo veloce” e “troppo complesso”, una fuga verso la narrazione rassicurante del passato. Narrazione facile, perché il passato lo conosciamo, non presenta incognite, non suscita ansia e possiamo raccontarlo come ci piace, anche sotto la forma della famiglia ideale dove il patriarcato diventa un’istituzione rassicurante, la nazione una categoria eterna dai tratti immutabili e via elencando.
Vale, come dicevo, per tutte le destre del Continente. Otto anni fa, un ministro del governo polacco, dopo la vittoria delle destre ebbe a dire: “Questo non è un Paese per i vegetariani e i ciclisti”, un modo per trasmettere al pubblico il seguente messaggio: non vi preoccupate, qui da noi nessuna novità, nessun esperimento, vi garantiamo di continuare a vivere nel passato.
Potrei proseguire con l’esempio degli integralisti islamici che chiamano gli occidentali “crociati”, come se vivessimo nel dodicesimo secolo, come se le battaglie di circa otto secoli fa fossero combattute davanti ai nostri occhi.
Ma preferisco parlare della sinistra, o meglio di una parte della sinistra in Italia. Ecco, qualcuno si ricorda ancora della grande manifestazione, a Firenze, a marzo di quest’anno, contro le destre, una manifestazione definita “antifascista”, cui parteciparono migliaia e migliaia di persone? Mi colpì la colonna sonora del corteo: “Bella ciao” e “Fischia il vento”, niente canzoni di lotta contemporanee, neppure musica rap. Repertorio degli anni Quaranta. Come se si dovesse partire per la montagna a scacciare le truppe nazi-fasciste, come se non ci fosse altro immaginario di quello dei bisnonni e bisnonne di chi oggi è adolescente e magari cerca di costruirsi una memoria e un immaginario suo. Si dirà, i simboli non si toccano. Non saprei. Io vivo in più culture. In quella polacca, quando si parla della memoria degli insorti nel ghetto di Varsavia, prevale, da un lato, il massimo rispetto per gli eroi, ma dall’altro una crescente critica da parte dei giovani (e soprattutto delle giovani artiste e storiche) delle forme di memoria che la mia generazione ha stabilito, contestando, a nostra volta, quelle della generazione precedente. Chiamasi trasmissione della memoria fra le generazioni con in vista il futuro.
Ma penso anche a come viene, qualche volta, narrato in Italia, il conflitto che oppone la resistenza ucraina all’aggressione russa. Al netto dell’ossessione per cui tutto il Male alberga in Occidente e negli States, c’è l’idea che in fondo i russi non possano essere veramente colpevoli di quello che succede. L’argomento principale è l’innegabile fatto che l’Unione sovietica abbia dato un decisivo contributo alla sconfitta del nazismo e del fas ...[continua]
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