La copertina è dedicata agli ebrei caduti durante l’attacco di Hamas e riporta i campi coltivati di girasoli che circondano il Kibbutz di Kfar Aza. E anche a tutti coloro, israeliani e palestinesi, che ora pagheranno il conto di altri. La strage di ebrei commessa dai fascisti verdi non può non richiamare quelle commesse dai nazisti in Polonia e in Russia: uomini, donne, bambini, anziani purché ebrei. Che militanti di sinistra parteggino per Hamas è allucinante. Va anche aggiunto, ma solo per informazione per costoro (se il kibbutz fosse stato “di destra” non cambierebbe nulla) che gli abitanti dei kibbutz attaccati sono fra i pochi socialisti al mondo che fanno vita da socialisti e che, in più, erano anche in lotta contro il governo dell’estrema destra israeliana. Bisogna prendere atto che, come per l’Ucraina, parti significative della sinistra stanno con i fascisti. Val proprio la pena di impegnarsi in una battaglia culturale su cosa significhi essere antifascisti nel mondo d’oggi. Troppi giovani, che detestano con tutto il cuore la nostra premier, poi simpatizzano per fascisti che fanno strage di giovani solo perché ebrei.
Per il resto: fu Sharon a dire, per rassicurare i suoi, che Gaza sarebbe diventata la “pattumiera dell’Olp”. E i nostri benpensanti benestanti, filoisraeliani senza mai un “ma”, neanche quando si scaccia una famiglia, perché di un’altra etnia, dalla casa in cui abita da generazioni, non sanno che una pattumiera è un luogo insano, dove possono svilupparsi dei germi terribili? Come ci ricorda Stefano Levi Della Torre, dall’omicidio di Rabin tutto ha cominciato a cambiare, e sempre in peggio; per i palestinesi, ma forse anche per Israele. Mai un omicidio (e un complotto?) ha cambiato la storia recente del mondo come quello di Rabin. I “geopolitici”, o i “realisti” come li chiama Michael Walzer, da anni ci dicono che i palestinesi “sono andati”, ormai eccentrici, cioè lontano dai centri nevralgici, sono un problema relativo; parlano di patti di Abramo (niente di meno) con regimi odiosi e liberticidi, le cui scelte sarebbero decisive per il futuro di intere regioni e continenti; per loro i popoli è come non ci fossero, masse di manovra. Beh, i palestinesi esistono, sono lì e non vanno via e speriamo proprio che si rifaccia strada fra loro un sentimento, prima ancora che un progetto, seppur conflittuale, al fondo conciliativo. Lo stesso, però, vale per Israele, dove, comunque, come ci dice Gary Brenner, che ci ha permesso di pubblicare le sue mail indirizzate all’amico Walzer, con la calma tornerà anche la protesta dei tantissimi israeliani che non vogliono vivere in una democrazia illiberale. Con quella liberale, però, non va d’accordo una “democrazia etnica”. Non resta che sperare che prima o poi riescano a far quadrare il cerchio: la necessità degli ebrei di restare maggioranza e la necessità dei palestinesi di diventare cittadini, a tutti gli effetti, “di qualcosa”. E alla fine anche l’orribile regime iraniano finirà: se non per una sciagurata guerra, da cui nel caso dovrebbe per forza uscire sconfitto, e purtroppo a ogni costo, cadrà grazie alle donne. Ed è grazie alle donne se in Polonia i “democratici liberticidi” hanno perso. Vediamo cosa succederà il 5 novembre. Quindi possiamo darci da fare. Come ci dice Michael Walzer, parlandoci del perché dobbiamo stare dalla parte dell’Ucraina, c’è bisogno di un nuovo internazionalismo, quello democratico, che coinvolga i singoli cittadini e le loro associazioni ma anche i governi. La Spagna è sempre qui.

Parliamo poi di un’esperienza straordinaria di democrazia deliberativa in Francia, dedicata al tema del fine vita; 184 cittadini sorteggiati si sono ritrovati a discutere nei fine settimana per tre mesi, spesati in tutto dallo Stato. Un esempio da seguire, per rendere sempre più partecipative le nostre democrazie. Votare ogni tanto è il cuore della pratica democratica, ma poi c’è altro da fare perché i cittadini possano sentirsi, ed essere, protagonisti. Non è “fuffa”, come pensano coloro per cui, al fondo, la politica è solo questione di élite.

E ancora: Massimo Mugnai ci parla di come andrebbe rivoluzionato l’insegnamento della filosofia, Cristiano Tinazzi del ruolo e del coraggio dei civili in Ucraina e di cosa significa fare il mestiere del giornalista, e poi gli interventi di Alfonso Berardinelli, Alberto Cavaglion, Gianni Sofri, Paolo Calzini, Marcantonio Caltabiano e Alessandro Rosina, Belona Greenwood.

Nelle penultime ricordiamo la giornata del 20 settembre a Forlì, con l’incontro pubblico fra cittadini forlivesi e alcuni parenti dei quarantadue detenuti -fra cui diciotto ebrei ed ebree- fucilati a Forlì nel ’44. È andata bene, tutti erano contenti. Riportiamo, insieme alla lettera spedita da Liliana Segre, le parole che la nipote dei coniugi Pacht, Karen, arrivata da Israele, ha detto a “Sorgente di vita” venuta a fare un servizio sulla giornata: “Non avevamo saputo niente fino a quattro anni fa. È stato veramente un colpo nello stomaco, perché non avevamo mai visto la lettera, non ne avevamo mai saputo nulla. Ci siamo commossi molto, anche se ci ha fatto male per noi è stato bellissimo: ci hanno restituito la nonna”. Anche solo per questo sarebbe valso l’impegno profuso.
Infine “la visita” è alla tomba di Nicola Chiaromonte.