A metà strada tra filosofia e scienze sociali, spesso accusati di non essere né veri filosofi né scientificamente sociologi, gli autori della Scuola di Francoforte, in primo piano Max Horkheimer, Theodor W. Adorno e Herbert Marcuse, sono stati i primi a usare sistematicamente sia categorie provenienti da Marx e Max Weber, sia la “psicologia del profondo” di Freud. Ne è nata una forma di pensiero definita da Horkheimer teoria critica, in cui la tradizione classica della filosofia veniva riconsiderata alla luce delle trasformazioni sociali e culturali avvenute nella seconda metà del Settecento con la rivoluzione industriale e il pensiero illuministico. La loro è stata perciò anche una critica della filosofia, che aveva avuto origine con Marx e in forme del tutto diverse, se non opposte, con Schopenhauer, Kierkegaard, Nietzsche. Il puro pensiero sistematico e la logica delle idee hanno subìto perciò nei Francofortesi una critica orientata sul confronto fra pensiero e azione, costituzione dell’individuo e struttura del capitalismo industriale, economia politica, ideologia, psicologia.
Uno storico più giovane e loro allievo, Alfred Schmidt, ha scritto: “La Rivista per la Ricerca Sociale diretta da Max Horkheimer dal 1932 al 1941, è uno dei grandi documenti dello spirito europeo del Novecento. In una forma che rimane unica si fondono in essa autonomia intellettuale, analisi critica e protesta umanistica. In consapevole opposizione nei confronti dei consueti organi accademici, la rivista ha attuato un programma unitario senza che venissero sminuiti né gli interessi e gli orientamenti individuali, né le esigenze di scientificità”.
Negli anni in cui il marxismo, o meglio i marxismi, erano forme di pensiero politico dominanti o comunque diffuse in Europa, negli Stati Uniti e in Asia, la Scuola di Francoforte ne elaborò la versione culturalmente più complessa e sofisticata. La sua influenza politica rimase tuttavia molto marginale, spesso ignorata. Perfino negli ambienti intellettuali si diffidò a lungo della “teoria critica” promossa da Horkheimer perché troppo eterodossa, eclettica, eretica. Nel movimento operaio non ha mai avuto nessun peso. Si trattava di un marxismo “per intellettuali”, che sentivano il bisogno di non abbandonare del tutto la cultura, la filosofia e la letteratura a vantaggio dell’engagement politico.
In effetti nella Scuola di Francoforte c’era molta scienza sociale, ma la politica era pressoché assente. C’erano il pensiero di Freud e di Weber, di Hegel e di Nietzsche, ma il rapporto diretto con i partiti socialisti e comunisti era rifiutato a priori. Fra teoria e prassi, i Francofortesi mettevano da parte la prassi e quel tanto di teoria, spesso rozza, che ogni pratica politica inevitabilmente contiene. Per Horkheimer il problema da affrontare era quello di una nuova indagine sulla società borghese e capitalistica, mentre ai marxismi ortodossi e politicamente attivi, quanto a teoria sociale bastava quella di Marx.
La cosa che mancava secondo Horkheimer sia alla sociologia che al marxismo era invece l’impegno filosofico. La “teoria critica” doveva perciò avere il carattere di una filosofia sociale in cui, per esempio, non potevano mancare i riferimenti a Hegel, da rileggere in quanto “filosofo della modernità”. Al pensiero di Hegel si dedicarono infatti più tardi anche due autori di Horkheimer più giovani della Scuola di Francoforte, cioè Marcuse, autore di Ragione e rivoluzione, e Adorno, con Tre studi su Hegel.
Comunque, al di là (o al di qua) delle questioni generali di filosofia, sociologia e teoria, Horkheimer pubblicò nel 1934 a Zurigo (quando era già emigrato dopo l’ascesa di Hitler al potere) una raccolta di osservazioni e appunti con il titolo Crepuscolo. Due caratteristiche di questo suggestivo opuscolo sono sia la critica al ritorno della metafisica con Heidegger, sia l’uso contestuale di due autori opposti, che Horkheimer non abbandonò mai, Schopenhauer e Marx. Nella premessa di Crepuscolo viene detto che i pensieri contenuti nel libro erano ormai invecchiati perché appartenevano agli anni precedenti all’affermazione definitiva del nazionalsocialismo. Senonché, l’interesse di quei pensieri era proprio nell’attenzione che l’autore dedica alla situazione generale della Germania fra il 1926 e il 1931, anni che precedettero e prepararono il successo politico di Hitler. Inoltre, particolarmente apprezzabile nel libro è lo stile spesso aforistico che rende l’immediatezza occasionale della riflessione. Solo nei taccuini dei suoi ultimi anni Horkheimer tornerà altrettanto felicemente alla forma breve.
In Crepuscolo Horkheimer esprime al meglio, e proprio all’inizio della sua carriera, la vergogna che un giovane nato come lui in una famiglia borghese prova per i suoi privilegi. È anzitutto da questo sentimento di vergogna che Horkheimer ricava l’idea che la teoria non basta se la vita di ogni giorno di chi teorizza rimane radicata nel sistema sociale, economico e di potere della divisione di classe. Anche se non è chiaro come praticare individualmente ciò che si capisce in teoria, secondo Horkheimer non va mai dimenticato che il “socialismo teorico” ha bisogno della volontà di mutamento reale di chi sta più in basso: “Il progresso sociale è di volta in volta un compito storico, non una necessità mistica (...) la storia non imbocca necessariamente questo corso, a meno che non glielo si imponga”.
Finché le barriere di classe faranno sistema, niente è immune dalla loro influenza: non il carattere individuale, né l’amore, né la scienza: “La vergogna di questo ordine non consiste nel fatto che alcuni stanno meglio, ma nel fatto che molti stanno male anche se tutti potrebbero stare bene”. Terribile, agghiacciante è la descrizione quasi allegorica che Horkheimer delinea della struttura sociale nel frammento intitolato “Il grattacielo”:
Vista in sezione, la struttura sociale del presente dovrebbe configurarsi all’incirca così: su in alto i grandi magnati dei trust dei diversi gruppi di potere capitalistici che però sono in lotta tra loro; sotto di essi i magnati minori, i grandi proprietari terrieri e tutto lo staff dei collaboratori importanti; sotto di essi -suddivise in singoli strati- le masse dei liberi professionisti e degli impiegati di grado inferiore, della manovalanza politica, dei militari e dei professori, degli ingegneri e dei capoufficio fino alle dattilografe; ancora più giù ciò che resta delle piccole esistenze autonome, gli artigiani, i bottegai, i contadini e tutti quanti, poi il proletariato, dagli strati operai qualificati meglio retribuiti, passando attraverso i manovali fino ad arrivare ai disoccupati cronici, ai poveri, ai vecchi e ai malati. Solo sotto tutto questo comincia quello che è il vero e proprio fondamento della miseria, sul quale si innalza questa costruzione, giacché finora abbiamo parlato solo dei paesi capitalistici sviluppati, e tutta la loro vita è sorretta dall’orribile apparato di sfruttamento che funziona nei territori semi-coloniali e coloniali, ossia in quella che è di gran lunga la parte più grande del mondo. Larghi territori dei Balcani sono una camera di tortura, in India, in Cina, in Africa la miseria di massa supera ogni immaginazione. Sotto gli ambiti in cui crepano a milioni i coolie della terra, andrebbe poi rappresentata l’indescrivibile, inimmaginabile sofferenza degli animali, l’inferno animale nella società umana, il sudore, il sangue, la disperazione degli animali (...) Questo edificio, la cui cantina è un mattatoio e il cui tetto è una cattedrale, dalle finestre dei piani superiori assicura effettivamente una bella vista sul cielo stellato.
Come è noto, di “cielo stellato sopra di me”, accanto alla “legge morale dentro di me”, parlò Kant. Qui sembra che Horkheimer ironizzi amaramente sul fatto che la vista del cielo stellato è possibile solo ai filosofi puri, i quali non sanno che chi abita nei piani bassi dell’edificio sociale non ha affatto il conforto che dà quella magnifica vista.
Il marxismo e la filosofia sociale di Horkheimer, che orienterà tutto il lavoro individuale e collettivo dei partecipanti alla Scuola di Francoforte, in fondo non sono altro che percezione e sensibilità per tutte quelle “connessioni sociali” senza vedere i cui effetti tutta la cultura diventa un’illusione e una più o meno diretta giustificazione della società così com’è.
Anche se la “totalità” sociale è un concetto limite più logico o immaginario che empirico, è però possibile constatarne il riflesso e l’influenza in ogni singolo e limitato fenomeno sociale: comportamenti quotidiani, emozioni e sentimenti, sensibilità estetica, amori e amicizie, idea e prassi scientifica. Il punto di forza della Scuola di Francoforte è stato proprio in questa capacità di osservazione della quotidianità e dell’interiorità individuale (come si vedrà più tardi nel capolavoro di Adorno Minima moralia). A questo servivano l’ottica freudiana e l’analisi critica della “personalità autoritaria”, oltreché della sensibilità borghese media e della mentalità propriamente fascista.
La filosofia dei Francofortesi deve molto alla letteratura e anche al cinema. Nelle sue Note per la letteratura, Adorno ha dimostrato di essere un critico letterario di prim’ordine, e Siegfried Kracauer, francofortese marginale, ha prodotto il suo migliore libro con Cinema tedesco. Dal dottor Caligari a Hitler. E in Crepuscolo Horkheimer sintetizza con poche righe quanto le barriere di classe decidano la condotta di vita:
Mentre cinquant’anni fa la casa dell’imprenditore sorgeva spesso accanto alla fabbrica, oggi l’operaio vede a malapena il garage con la Rolls-Royce che conduce il suo direttore nel quartiere residenziale in cui vive. La vita delle mogli e delle figlie, fatta di campi da tennis e da golf, di vacanze sugli sci e di viaggi in Egitto, è sottratta tanto bene agli sguardi degli sfruttati, che il padrone può proclamare personalmente e sulla stampa la dottrina del duro lavoro necessario.
Quale filosofo professionale si è mai occupato di queste minuzie? Per farlo, il linguaggio strettamente filosofico manca di mezzi appropriati e perfino del lessico giusto. Nelle ricerche dell’Istituto per la Ricerca Sociale di Francoforte diretto da Horkheimer filosofia e reportage si sovrappongono e la “teoria critica” finisce per essere anche una forma aggiornata di letteratura moralistica. Oltre ad aver sempre avuto presente Schopenhauer, nei suoi saggi Horkheimer si occupò anche di Michel de Montaigne, padre dei moralisti moderni. E il libro di Kracauer Gli impiegati, già proletarizzati alla fine degli anni Venti, è un esemplare reportage sociologico proprio perché le “trasformazioni strutturali dell’economia” sono osservate nelle caratteristiche e nelle esperienze individuali quotidiane: “per la psicologia professionale il piccolo impiegato è un microcosmo”. Dopo tante osservazioni dal vivo, la conclusione di Kracauer, che è stata anche il suo punto di partenza, è questa: “Ci si deve liberare dal pregiudizio che in sostanza l’uomo è determinato solo dai grandi eventi. In modo più profondo e durevole lo influenzano le piccole catastrofi di cui è fatta la vita quotidiana, ed è certo che il suo destino è legato soprattutto alla successione dei minimi eventi”.
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