Più e meglio di ogni altro, è in Adorno che lo stile del pensiero filosofico viene reinventato allo scopo di catturare il più analiticamente possibile i modi in cui il potere del contesto storico-sociale è esercitato su tutti, sebbene in misura e in modi diversi. Anche la filosofia, come ogni altra forma culturale, è storicamente determinata, e il pensiero filosofico deve perciò prenderne atto anche nel suo linguaggio. L’autocoscienza del filosofo, per non tradire se stessa, dovrà perciò essere consapevolmente critica e autocritica, evitando di perdersi nella generalità gergale di una tradizione filosofica ormai accademicamente alienata.
L’opera più caratteristica ed esemplare di una tale innovazione nello stile filosofico sono i Minima moralia di Adorno, un libro pubblicato nel 1947 in Germania e tradotto nel 1954 in Italia. Come pure il suo coetaneo Gunther Anders, anche Adorno ha seguito la strada di un pensare filosoficamente a partire dall’osservazione minuziosa dei comportamenti quotidiani. Si tratta tuttavia anche di due stili diversi. Quello dei Minima moralia è molto più arduo e concentrato, e invece che incoraggiare il lettore sembra che lo voglia sfidare e provocare con la sua sottigliezza dialettica. Più che essere letto, Adorno vuole essere riletto: una consumabile facilità comunicativa gli sembrerebbe una concessione alla superficialità e alla fretta. Per Adorno, senza dialettica, cioè senza rovesciamento di una qualità nel suo contrario, la vera realtà della vita immediata è incomprensibile. Il lettore è avvertito fin dalla prima pagina dell’introduzione:
Quella che un tempo i filosofi chiamavano vita, si è ridotta alla sfera del privato, e poi del puro e semplice consumo, che non è più altro che un’appendice del processo materiale della produzione, senza autonomia e senza sostanza propria. Chi vuole capire la verità sulla vita immediata, deve scrutare la sua forma alienata, le potenze oggettive che determinano l’esistenza individuale fino negli angoli più riposti [...]. Solo nel contrasto con la produzione, solo in quanto non sono ancora del tutto controllati e assorbiti dall’ordine, gli uomini sono in grado di creare un ordine più umano.
(Minima moralia, Einaudi 1954, pp. 3-4)
Già in queste poche righe compaiono le idee su cui si basano tutte le analisi socio-morali di Adorno. Anzitutto l’idea di una distanza storica del presente da quel lunghissimo passato nel quale la parola “vita” aveva tutt’altro, più ampio e sostanziale significato. Nelle società nate dalla rivoluzione industriale e dalla razionalità strumentale illuministica, che riduce tutto a quell’utile che è più adatto allo sviluppo economico e tecnico-scientifico, la vita è limitata a ben poco: al consumo dei “beni”, cioè dei prodotti, industriali. La vita dei singoli individui esiste in funzione del sistema produttivo dell’economia capitalistica. Anche nella apparente immediatezza, per capirne la vera realtà, si devono leggere i segni che le “potenze oggettive” della produzione-consumo imprimono in ogni comportamento pratico e in ogni contenuto mentale. Non c’è libertà se non quando i singoli riescono a sottrarsi o a opporsi al controllo dell’ordine che domina la società.
Solo a partire dalla fine del Settecento la società ha cominciato a “totalizzarsi” in modo nuovo, a dominare in tutti gli “angoli più riposti” della vita di ognuno. Non a caso anche la “scienza della società” o sociologia nasce nell’Ottocento come studio di un sistema di vita collettiva che mai in precedenza era stato così razionalmente organizzato e sottoposto al dominio dell’economia.
È in questa idea di “totalità sociale” che Adorno e gli altri Francofortesi assumono come presupposto fondamentale il pen ...[continua]
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