Copia di questa lettera è stata ricevuta e riprodotta dal giornale russo “Dni” di Parigi. La lettera, diffusa specialmente in Ucraina, è documento d’alto interesse e di forte critica al principio assolutistico, che talora in nome di interessi borghesi, talora di supposti interessi proletari, conculca quelle libertà che all’uomo sono più necessarie del pane.
Compagno Staline, si dice che sei un fervente antisemita. Io, invece, sono un povero ebreo e per questo penso che arriveremo a comprenderci. Quando avevo 16 anni fui percosso perché osai passeggiare un sabato per la strada principale del mio paese. Sdegnato, andai in un negozio russo, comprai del lardo e mi misi a mangiarlo nella via e da quel giorno fui bandito dal mio paese dai miei correligionari sdegnati. Me ne andai a Kiev e da allora i miei rapporti col Dio ebreo furono poco cordiali. Anche col Dio dei cristiani simpatizzai poco da quando udii i monaci incitare i loro fedeli ai progroms, ai massacri dei miei fratelli di razza. In poche parole sono un ateo. Lo fui da quando lasciai il mio paesetto sino al vostro arrivo al Kremlino. Anche oggi, se penso all’esistenza di Dio, non posso non rispondermi: “Dov’è Dio? Perché se esiste permette tali e tante ingiustizie?”. Così per trent’anni non misi più piede nella sinagoga; ora invece la frequento. La frequento da quando il tuo governo ha tolta la sinagoga agli ebrei per trasformarla in un circolo per gli operai. Quando vidi ciò, io -compagno Staline- che sono un ateo, andai dagli ebrei e dissi loro: “Dobbiamo rispettare la nostra coscienza e la nostra dignità... costruiamo un’altra sinagoga”. Oggi abbiamo un’altra sinagoga e io la frequento e ai fanciulli che m’interrogano sull’esistenza di Dio, rispondo: “Rispettate il nostro Dio e quello cristiano e quello maomettano, credeteci o non credeteci, poco conta, ma rispettate gli Iddii che sono perseguitati”. Sono un vecchio ebreo, un operaio. Tanti, che erano atei come lo ero io e lo sono pur io, vanno oggi in Chiesa e danno il loro obolo. Non li entusiasma tutto ciò come non entusiasma me, ma non possiamo fare diversamente.
Ora vi parlerò delle mie idee politiche. Sono stato nel Bund [partito operaio ebreo, NdR] nei bolscevichi. Ho odiato i capitalisti, ma il tuo governo me li fa stimare e rimpiangere. La verità è sempre dalla parte del perseguitato. Quando fanciullo mi percossero, la verità era con me. Ma quando i miei percotitori furono percossi, la verità fu con loro. Nel 1917, colla rivoluzione dissi: “La verità è vicina al trionfo”. Oggi, col tuo governo, la mia gioia si è mutata in dolore, tu e i tuoi avete confermata la verità dei credenti e noi atei abbiamo provato vergogna di essere atei per timore di essere confusi con voi. Avete disonorata la verità operaia, avete superato nella colpa le colpe dei borghesi. Avete dato loro ragione. Ecco, questo hai fatto, tu con i tuoi; per questo sei ora maledetto da noi!
Noi atei, che siamo nemici delle religioni che dividono il mondo, malediciamo voi bolscevichi perché avete disonorato la nostra fede. Noi, operai, che abbiamo dedicato e la giovinezza e la virilità a combattere il capitalismo, vi accusiamo di aver trasformato la nostra vittoria in una vergognosa sconfitta. Tu, Staline, e i tuoi, siete nemici della Ragione e del Lavoro. Altri ti hanno scritto quel che ti scrivo. Ora sono internati in case di pazzi. Così tu hai ordinato, o Staline: le lettere siano soppresse e chi le ha scritte sia inviato in un manicomio. E hai aggiunto: a vita. Per questo non imposto questa mia lettera. La passerò a un amico e questo a un altro e così, passando di mano in mano, sarà conosciuta da tutti. Vorrei firmarla, che tutti sapessero che sono realmente un operaio ebreo di razza e ateo. Ma non voglio entrare in una casa di pazzi. Perché i pazzi siete voi, tu, Staline, e i tuoi, e se qualcuno deve finire al manicomio, dovete finirvi voi. Quel giorno sarà detto da tutti il giorno della giustizia. E io spero, o Staline, di vedere quel giorno.
Un vecchio ebreo
lettera pubblicata su “L’avvenire del lavoratore” il 21 dicembre 1929
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