Ecco il sommario del 298.
La copertina è dedicata a due cittadini lettoni, che compaiono con altri in un servizio di interviste di Antonio Ferrari con domande identiche. Nelle centrali ne pubblichiamo tre. Le domande vertono sull’indipendenza riacquistata negli anni Ottanta dopo averla persa all’indomani della fine della Seconda guerra mondiale, sull’adesione del loro paese alla Ue e alla Nato e sulla guerra in Ucraina. Tutti gli intervistati dicono di aver paura dei russi. Bene: noi della sinistra europea cosa siamo disposti a dir loro? Che si sono sbagliati, che dovevano restare neutrali, perché la Russia vuole e deve avere una sua “sfera d’influenza”? Che è meglio che il mondo sia multipolare e che non è colpa di nessuno se poi a qualcuno capita di vivere “sotto l’influenza”, se non sotto il tallone, di qualcun altro? Ma com’è possibile che gente che si professa di sinistra sia tanto cinica? Ora che in Ucraina la guerra potrebbe volgere al peggio, ne sentiamo tanti dire, con una certa soddisfazione, che “l’avevano detto”, che Zelenski è un pazzo, che se l’è cercata, eccetera eccetera. Ma ci rendiamo conto di ciò che tutto questo segnala? L’abbandono di ogni sentimento internazionalista in nome di uno squallido nazionalismo degli interessi; i nostri “valori di riferimento” al dunque si sono ridotti al prezzo del petrolio, all’inflazione e ai rischi, peraltro molto remoti, di essere trascinati in guerra; un relativismo culturale per cui la libertà e la democrazia, chiamati “valori occidentali”, sono un nostro patrimonio etnico, il che ci permette di pensare che altrove siano “innate” la sopraffazione, la coercizione, la repressione delle idee e della vita delle persone, in una parola il fascismo; un pacifismo che capovolge il principio più nobile dell’umanità migliore, e cioè che la libertà viene prima della vita, come ci ricorda un vecchio compagno libertario, Nico Berti, un maestro per noi; furono i verdi tedeschi, ai tempi della diatriba per l’istallazione in Europa di nuovi missili, ad alzare per primi con coraggio la bandiera della vigliaccheria: “Meglio schiavi che morti”. Così possiamo dimenticare i morti di Tienanmen, gli insorti di Hong Kong oggi piegati, le donne iraniane, ormai, e speriamo solo per ora, silenziose. Ci è comodo pensare che fossero imprese disperate, impossibili. E così, se l’Ucraina capitolerà e inizierà l’epurazione, ci risparmieremo il dolore e il rimpianto che provarono i compagni e i democratici europei quando cadde la repubblica spagnola e iniziarono le fucilazioni di massa dei resistenti. A fronte dell’aiuto ai franchisti dell’Italia e della Germania fasciste i governi di Francia e Inghilterra erano rimasti inerti. Avevano fatto bene, no? Di lì a poco, avrebbero tentato di “trattare” con Hitler. E che cosa avevano da offrirgli se non una “zona di influenza”? Infine: siccome essere di sinistra vuol dire essere buoni, ormai tendiamo a considerare tutti gli abitanti di paesi ancora “arretrati”, e anche questo ovviamente per colpa nostra, come dei poveri irresponsabili, dei “poveracci”, incapaci di darsi degli statuti morali. Se commettono dei crimini, la colpa va nel conto di quelle dell’Occidente colonialista e imperialista, di cui Israele resta l’esempio vivente e l’avamposto. Siamo dei “razzisti buoni”. Ecco allora che si tace sull’orrenda strage di israeliane e israeliani compiuta dai palestinesi di Hamas, quasi giustificandola, e ci si mette in fila per accusare Israele di genocidio, dietro nientemeno che a Erdogan, il presidente di un paese in cui il negazionismo è legge e dove si va in galera se si cita il genocidio degli armeni che Hitler considerò “un precedente istruttivo”. Siamo di fronte a una catastrofe morale della sinistra. Che le estreme destre, americane, israeliane, ungheresi o italiane, facciano senso cambia qualcosa? No, anzi.