La nuova legge
Il Parlamento italiano ha convertito in legge un decreto del Governo che -a partire dalle domande presentate dopo il 27 marzo 2025- prevede che il diritto di cittadinanza si trasmetta solo per due generazioni, con una possibile estensione alla terza solo per figli minori. Questo significa che sarà considerato cittadino italiano alla nascita solo chi ha almeno un genitore o al massimo un nonno italiano. Lo jus sanguinis oltre la seconda generazione non sarà più possibile, se non in casi specifici e ristretti, definiti dalla legge. Questa legge potrebbe apparire come una drastica riduzione di diritti: di fatto, milioni di persone, in tutto il mondo, da un giorno all’altro, sono state private della cittadinanza italiana. Tuttavia, la questione va rovesciata: era lo jus sanguinis precedentemente in vigore ad essere irragionevole, mentre la nuova normativa è molto più vicina al significato autentico che dovrebbe essere attribuito alla cittadinanza. La realtà dei fatti e l’analisi socio-demografica mostrano che quando una emigrazione si consolida, i legami con il paese di origine, rapidamente, si indeboliscono. Come sta accadendo oggi in Italia, i figli degli immigrati si identificano rapidamente con il paese ospite. I nipoti degli immigrati quasi sempre non parlano nemmeno la lingua del paese da cui provengono i loro nonni, e sono del tutto simili -per stile di vita, mentalità, gusti…- ai loro coetanei autoctoni. Se ammettiamo che la cittadinanza dovrebbe coincidere con l’appartenenza stabile e attiva a una comunità, la nuova legge sembra quindi aver posto un limite ragionevole.
Sanato un vulnus democratico
Un’ulteriore questione si pone per i paesi democratici, inclusa l’Italia, dove “la sovranità appartiene al popolo”. È irragionevole dare diritto di voto (attivo e passivo) a persone che con l’Italia non hanno nulla a che fare: già oggi gli iscritti all’Anagrafe Italiana Residenti Estero (Aire) sono 6,5 milioni, ma potenzialmente -se la legge non fosse cambiata- avrebbero potuto diventare decine di milioni, superiori anche nel numero ai 55 milioni di residenti in Italia con diritto di voto. Ad esempio, questi 6,5 milioni di (potenziali) elettori oggi contribuiscono a innalzare il quorum necessario per la validità dei referendum.
Questa nuova legge, quindi, sembra essere un primo passo nella giusta direzione, per far coincidere pragmaticamente cittadini de jure e cittadini de facto. Sarebbero tuttavia necessari altri passi per superare normative sulla cittadinanza, rese anacronistiche dalla storia effettiva dei movimenti migratori dell’Italia contemporanea.
In primo luogo, si potrebbero allargare le maglie della nuova legge, creando corsie privilegiate per l’ottenimento della cittadinanza da parte di discendenti italiani oltre la seconda generazione, perché vi sono casi di persone che -effettivamente- hanno mantenuto un forte legame con l’Italia. Ad esempio, per i discendenti degli italiani si potrebbe prevedere l’acquisizione della cittadinanza dopo un periodo contenuto (due-tre anni) di residenza continuativa, di studio e di lavoro nel nostro paese.
Tempi più brevi per la cittadinanza
agli immigrati e ai loro figli
In secondo luogo, andrebbe affrontata seriamente la questione della cittadinanza per i nuovi italiani. Gli attuali 4,5 milioni di stranieri oggi residenti in Italia, per chiedere di diventare cittadini debbono risiedere continuativamente per dieci anni nel nostro Paese (più una media ...[continua]
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