Per introdurre al pensiero di un filosofo morale e politico come Isaiah Berlin, non trovo di meglio che l’inizio di un’introduzione di Aileen Kelly, intitolata “Una visione complessa”, al volume Il riccio e la volpe e altri saggi (Adelphi, 1986), che raccoglie un’esauriente scelta di scritti berliniani:

L’idea che il socialismo dispotico fosse semplicemente ciò che la Russia si meritava troverebbe consenzienti molti liberali dell’Occidente, se non altro in riferimento ai “demoni” del romanzo di Dostoevskij, cioè all’intelligencija radicale. Per la loro profonda alienazione dalla società russa e per gli effetti che ebbero su di essa, gli uomini dell’intelligencija dell’Ottocento furono un fenomeno quasi a sé. Il piccolo gruppo dei loro ispiratori ideologici aveva la compattezza e il senso missionario di una setta religiosa. Con la loro accesa opposizione morale all’ordine esistente, il loro sincero interesse per le idee e la loro fede nella ragione e nella scienza, essi prepararono la strada alla Rivoluzione e assunsero quindi una indiscutibile rilevanza storica. Ma troppo spesso vengono trattati dagli storici, soprattutto inglesi e americani, con un misto di degnazione e di orrore [...]. La Rivoluzione d’ottobre e i suoi frutti hanno molto contribuito a rafforzare la convinzione, profondamente radicata nella mentalità anglosassone, che un interesse appassionato per le idee sia un sintomo di disordine mentale e morale.
Da questa valutazione dell’intelligencija russa ha dissentito vigorosamente e coerentemente una voce liberale, una voce di grande prestigio. Isaiah Berlin è uno dei più eminenti pensatori liberali di questo secolo: i suoi Quattro saggi sulla libertà sono contributi di primaria importanza allo studio dei fondamentali problemi della filosofia politica. La sua originalità di pensatore deriva dal fatto che in lui il liberalismo della tradizione inglese si sposa a una curiosità insaziabile, veramente europea, per le idee e per i loro effetti sulla vita politica. 
(pp. 17-18)

A questa premessa aggiungerei, non solo per ragioni di curiosità, la definizione che Berlin dà dell’opposizione fra due tipi umani, quello del riccio e quello della volpe:

Tra i frammenti di Archiloco c’è un verso che dice: “La volpe sa molte cose, ma il riccio ne sa una grande”. Gli studiosi non si sono trovati d’accordo sull’esatta interpretazione di queste oscure parole, le quali possono anche significare semplicemente che la volpe, con tutta la sua astuzia, è sconfitta dall’unica difesa di cui il riccio dispone. Ma il verso può essere assunto in senso figurato a indicare una delle più profonde differenze che dividono gli scrittori, i pensatori e, addirittura, gli esseri umani in generale. Esiste infatti un grande divario tra coloro, da una parte, che riferiscono tutto a una visione centrale, a un sistema più o meno coerente o articolato, con regole che li guidano a capire, a pensare e a sentire [...] e coloro, dall’altra parte, che perseguono molti fini, spesso separati e contraddittori, magari collegati genericamente, de facto, per qualche ragione psicologica o fisiologica, non unificati da un principio morale o estetico. Le persone di questa seconda categoria conducono esistenze, compiono azioni e coltivano idee che sono centrifughe piuttosto che centripete, e il loro pensiero è disperso o diffuso poiché si muove su molti piani, coglie l’essenza di una vasta varietà di esperienze e di temi per ciò che questi sono in sé, senza cercare, consciamente o inconsciamente, di inserirli o escluderli da una visione unitaria, immutabile, onnicomprensiva, a volte contraddittoria e incompleta, a volte fanatica. La personalità intellettuale o artistica del primo tipo appartiene ai ricci, la seconda alle volpi; e senza insistere in una rigida dicotomia possiamo dire che in questo senso Dante appartiene alla prima categoria, Shakespeare alla seconda; Platone, Lucrezio, Pascal, Hegel, Dostoevskij, Nietzsche, Ibsen, Proust sono in varia misura ricci; Erodoto, Aristotele, Montaigne, Erasmo, Molière, Goethe, Puskin, Balzac, Joyce sono volpi.
(pp. 71-72)

Il bello è che Tolstoj, con Aleksandr Herzen uno dei due maggiori punti di riferimento di Berlin, è secondo lui sia riccio che volpe: più precisamente, Tolstoj era per sua natura una volpe che credeva ostinatamente, però, di essere un riccio. E Berlin è affascinato proprio da questa coesistenza o contraddizione che fa il carattere e la grandezza di Tolstoj, cioè la su ...[continua]

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