Ogni periferia infelice è diversa dalle altre, che sono altrettanto infelici ma ciascuna nel suo modo peculiare. Ponticelli deve il suo nome poetico all’essere stata in antico una zona acquosa, ricca dunque di ponti e mulini. In seguito ha gravitato sulla seconda zona industriale di Napoli (dopo l’Ilva di Bagnoli), che comprendeva l’industria metalmeccanica e conserviera degli altri due quartieri della zona orientale, Barra e San Giovanni a Teduccio: zona rossa quant’altre mai, patria di Bordiga, di associazioni operaie delle quali rimangono qua e là stinte insegne su intonaci scrostati; oggi conosciuta col nome poco onorevole di "triangolo della morte”. Quali le tappe di questo infausto percorso? Mentre le fabbriche chiudevano una dopo l’altra, gli ampi spazi vuoti venivano riempiti da una dissennata politica urbanistica, che andava incuneando a casaccio nel tessuto sociale di tre antichi quartieri orrendi agglomerati di prefabbricati pesanti, cui era prescritto alla nascita il destino del ghetto. Quando leggete o ascoltate i nomi di Barra, San Giovanni e Ponticelli, per prima cosa sostituite questi nomi con quelli di Bronx 2001, Bronx 2002, Case gialle, Lotto O (da leggere "zero”, come hanno fatto i suoi abitanti dall’inizio), e così via. Sono le enclaves dalle quali proviene la quasi totalità dei nostri alunni, fuggitivi dalla scuola; nei colloqui di selezione spesso registriamo che la storia di queste famiglie- definite nel triste linguaggio dei servizi sociali "multiproblematiche”- inizia con un trauma da trasferimento. Perché il trasferimento ha avuto i connotati della deportazione: approfittando del terremoto, migliaia di famiglie sono state sradicate dai loro quartieri, scaricate alla rinfusa e là dimenticate, come le ecoballe. Anni fa la psicologa del Sert di Ponticelli mi raccontava che i cinque anni successivi alla deportazione sono stati, nel Lotto O, anni da far west: una sequela ininterrotta di risse e conflitti, prima di arrivare a una qualche forma di equilibrio. Così una popolazione ferita e abbandonata a se stessa elaborava il lutto della separazione dalla propria casa, dal proprio tessuto di relazioni sociali. Contemporaneamente costruiva la propria nuova identità con i connotati del ghetto, a cominciare dai nomi con i quali battezzava il proprio spazio di vita collettiva. Inutile dire che niente è stato fatto dai responsabili politici di tanto sfacelo, per integrare queste famiglie, che sono state semplicemente messe a carico delle poche, disperate assistenti sociali. Anzi, qualcosa è stato fatto: per riqualificare, sovrapporre una patina di bellezza allo squallore del Lotto O, il Comune di Napoli, con un’operazione di stampo sovietico, ha ribattezzato tutte le sue strade, che oggi portano nomi (quasi impronunciabili per i suoi abitanti) quali "Via dei bronzi di Riace”, "Via dei papiri ercolanensi”, "Via delle ville romane”, eccetera.
Nel frattempo avveniva l’ultima, decisiva tappa di questa storia triste, quella che ha prodotto la sottomissione di queste popolazioni al dispotismo del potere criminale. "Infiltrazione della camorra” significa che non si può verificare qui una sana scazzottata tra ragazzi, perché viene subito trasformata in un meccanismo giudiziario di punizione-vendetta con intervento di terzi, e questo avviene fin dentro le scuole: quante volte, mostrando di non avere paura, abbiamo difeso il diritto dei ragazzi di litigare come si deve fare da ragazzi. Significa che una bella ragazza, a meno che non aspiri proprio a quello, deve sperare di non attirare l’attenzione di coloro che esercitano, in forme svariate, una sorta di ius primae noctis. Significa che sono state confiscate tutte le manifestazioni e tradizioni popolari, religiose, musicali (a San Giovanni il parroco chiamò la polizia a difesa del Santo solo quando la statua trapuntata di biglietti di banca fu fatta inchinare davanti alle ef ...[continua]
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