Eyad El-Sarraj è uno psichiatra palestinese che, ormai parecchi anni fa, lasciò il lavoro a Londra per tornare a Gaza, dove c’era e c’è una carenza drammatica di specialisti nel campo della salute mentale, specie per i bambini, e dove ha fondato il Gaza Community Mental Health Program. Il dottor El-Sarraj, democratico e militante per i diritti umani, consulente a Camp David, è stato anche arrestato da Arafat per le sue posizioni critiche (l’abbiamo intervistato nel n. 116 di Una Città, ottobre 2003).
Oggi Eyad El-Sarraj è malato, soffre di mieloma multiplo, una neoplasia che interessa il midollo osseo. A Gaza non può ricevere il trattamento medico di cui ha bisogno. Ma a Tel Aviv sì. Nonostante abbia in tasca anche un passaporto britannico, ci ha messo tre mesi a ottenere il permesso per vedere il suo dottore. Le sue richieste infatti sono state ripetutamente negate, fino a quando un amico israeliano, docente a Tel Aviv, è riuscito in qualche modo a sbloccare la situazione.
Nel Los Angeles Time del 14 dicembre, è apparsa una drammatica lettera del dottor El-Sarraj, che oltre a spiegare le proprie traversie, denunciava la crisi umanitaria nella Striscia di Gaza -ben prima dunque che Israele intervenisse via aria e ora via terra.
“Questi razzi sono moralmente sbagliati e strategicamente insensati. E tuttavia il blocco che Israele ha imposto al milione e mezzo di palestinesi di Gaza è una punizione collettiva che colpisce uomini, donne e bambini che obiettivamente non hanno il potere di fermare chi lancia i razzi. Più che mettere i residenti contro Hamas, l’effetto dell’assedio è una catastrofe umanitaria che aliena gli abitanti di Gaza, giovani e vecchi, da Israele e dall’Occidente. Io stesso, che pure pratico la psichiatria da decenni e da tempo sono impegnato per la coesistenza tra palestinesi e israeliani, affronto con fatica crescente la durezza delle condizioni in cui viviamo. Viaggiare è cruciale per me, non solo per motivi medici, ma per ragioni di salute direi elementare. Io ho bisogno di vedere amici, di rivedere il mondo, di respirare aria nuova e soprattutto di rassicurare i miei sensi che ci sono cose e persone ‘normali’ fuori dai confini debilitanti di Gaza. L’ultima volta che ho lasciato Gaza, prima di quest’ultimo permesso medico, era stato ormai diversi mesi fa… Questa volta comunque, il permesso valeva un solo giorno. Al checkpoint Erez, dove ho lasciato Gaza assieme ad altri quattro pazienti, i soldati israeliani ci hanno urlato di aprire le borse, dall’alto delle loro postazioni, da cui ci guardavano attraverso delle macchine fotografiche. Quando la donna accanto a me ha fatto una domanda, il soldato le ha intimato di svuotare la borsa, è stata così costretta all’umiliazione di mostrare alla macchina fotografica la propria biancheria intima, io ho dovuto passare tre volte attraverso la macchina a raggi X, nonostante avessi spiegato quanto questo poteva essere pericoloso per le mie condizioni… Quando i soldati si sono avvicinati, armati e corazzati, come psichiatra non ho potuto evitarmi la domanda: ‘Chi è spaventato qui?’ - perché io non lo ero, ero furioso, ma non spaventato. Rientrando a Gaza ho comprato alcune piantine di fiori da portare a casa. Un soldato mi ha gridato: i fiori non sono permessi!”.
(www.latimes.com)
19 dicembre 2008. Da un dipendente Alitalia
Ieri mi hanno mandato una email. Alitalia me l’ha mandata. Diceva che avevano comunicazioni per me. Allora oggi sono andato a Fiumicino. Sono andato a firmare per una nuova compagnia. Che ancora non esiste. Presso la Palazzina Uffici Alitalia. In un ufficio improvvisato con impiegati Alitalia. Un contratto su carta A4 non intestata e col nome scritto a penna. Faxata chissà da dove. Decorrenza “Data di rilascio del Coa” (Certificato di operatore aereo). Base Fiumicino. Oggi ho firmato un contratto che non ho visto. Ma se vuoi ti dicono dove andarlo a vedere su internet, ti danno anche 48 ore di tempo per decidere. Oggi ho firmato un contratto che prevede venti giorni di ferie (ma solo dieci d’estate) e meno riposi di un impiegato, un contratto dove secondo loro io potrei lavorare 21 giorni al mese, che fanno sette New York a/r, 14 voli di lungo raggio. Al mese. Un giorno sì ed uno no. Un contratto che dice che dopo dodici mesi di malattia ti licenziano (ma non specificano in che arco di tempo). Però di dieci riposi due sono inamovibili. Gli altri... Un ...[continua]
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