9 gennaio 2009.
Ma che razza di dio è questo che, permalosissimo e arcigno, passa il suo tempo guardando di traverso per tener d’occhio la fine che fanno i doni che ha elargito?
12 gennaio 2009. Noi sei sorelle
Riceviamo da un’abbonata.
Siamo sei sorelle di cui le meno anziane assistono le altre quattro con problemi di circolazione e memoria, due sono pure in carrozzina (non uso la parola “demenza” che diffonde lo stigma sulla persona perché “tanto non capisce niente”. E non è vero).
Allo scopo dell’assistenza ci siamo riunite ora nella stessa città in due appartamenti nello stesso palazzo, ma in un’unica famiglia. Accogliere con amore questo impegno, rinunciando pressoché ad ogni altro progetto personale, per grazia di Dio, ci porta serenità interiore e ad amarci di più pur in mezzo allo stress quotidiano e al reggere sul filo di lana. Spostare l’obiettivo sociale della propria vita ad un’associazione proprio di questo settore, visto che qui si affina la nostra esperienza, può dare nuove energie, anche se uno offre contributi minimi.
La sorella più giovane è la vera manager della famiglia, sostenuta da fede e generosità “con uno stile teutonico, quasi un’infermiera caposala di un grande ospedale”, come la definì uno specialista in visita domiciliare. Ci siamo divise l’attenzione alle singole malate, ma ognuna è disponibile per ogni lavoro. Di spesa, uffici e visite mediche quasi quotidiane ci occupiamo noi due. Contiamo sull’aiuto di due colf la mattina, una nel pomeriggio e nel weekend, più una rumena convivente.
Con loro si è creato un rapporto quasi di amicizia e quindi la loro presenza offre anche compagnia, se non svago, alle malate. Contiamo sulla disponibilità del medico di famiglia, del farmacista amico, sulle fisioterapiste, sul vicino infermiere dell’Adi, ogni tanto su spiegazioni del geriatra privato e sul passaparola delle amiche con esperienze analoghe. Io sentirei il bisogno di brevi corsi ogni semestre su come sollevare il malato quasi anchilosato, come lavarlo a letto, come agire in crisi di svenimento, sulla prevenzione e cura delle piaghe, sui diversi problemi psicologici dei dementi, ecc.
Il ritmo della giornata è sostenuto. Il pomeriggio si esce per una passeggiata ai giardinetti o ad ascoltare una messa, dove, oltre al conforto spirituale, uno trova sempre un ruolo, quello di fedele, e gode di un certo spettacolo. Rare le visite, salvo le vicine amiche. Festeggiamo i vari compleanni con le colf e le vicine. Siamo iscritte a due associazioni, Adas e Auser, per partecipare a delle feste, cene, giornate di spiritualità e… gite. La loro attività di volontariato crea sì svago, però andrebbero studiati più giochi adatti ad anziani. I presbiteri confortano con parole di fede: serve sempre attenzione al mistero del dolore e incoraggiamento a viverlo con dignità: quindi pazienza, atteggiamento positivo verso ciò che può alleviarlo e collaborazione con chi aiuta.
La sofferenza pone forte la domanda sul senso della vita e in particolare sulla revisione dell’uso dei beni in famiglia e nella società al fine essenziale delle buone relazioni di aiuto reciproco prima che della sicurezza del futuro. E ci sarebbe da allargare lo sguardo anche alle leggi sull’eredità e all’educazione. Perché profonda sia la disponibilità all’aiuto e ad avere cuore, bisogna riceverne la testimonianza e praticarla da tempo e riesaminare i valori profondi della vita.
La malata più grave, da dieci anni con l’Alzheimer, ci ha aiutate perché ha vissuto sempre con dignità e collaborato alla forte spinta a reagire data dalla sorella che l’assiste (non commiserare, non piangersi addosso, restare a letto il minimo, uscire, non vergognarsi del proprio stato, ecc.). Io ho trovato utile leggere riviste e libri sull’Alzheimer, che presentano il caso con amore, non con freddezza (es. “Uno stato di grazia”, “I ricordi che curano”, “Parole da medicare”); e i corsi dell’Aima per i caregiver con i gruppi di auto-aiuto guidati dalle psicologhe. E giacché io poco ricordo, ho preso appunti (che non ho il tempo di rileggere) per un diario, per non fissarmi sull’ultimo livello peggiorativo di mia sorella, ma educarmi piuttosto ad ascoltarla ed osservarla più attentamente, valorizzando le capacità residue. Ho cercato di creare un canale di comunicazione sul suo senso della vita e della sofferenza e mantenerlo anche ora che lei non può più parlare. La demenza porta a una certa confusione e inattività. Noi non le lasciamo uscire da sole e perciò qualcuna talvolta si sente come prigioniera o si annoia guardando solo la tv. Molte cose le facciamo noi due, senza riuscire a guidarle nel farle loro stesse, altrimenti i tempi si moltiplicherebbero. Raramente siamo riuscite a organizzare qualche lavoretto con la pasta di sale e a colorarlo, più spesso cantano canzoni, leggono poesie. Ci aiuterebbero forse dei volontari ben formati per accompagnarle a un Centro diurno o a un Caffé Alzheimer, ma non conosciamo né gli uni né gli altri.
Un sollievo per il caregiver? E’ solo un sogno! Non credo neanche in un “ricovero di sollievo” in un centro di eccellenza. Da uno di questi dopo due mesi abbiamo ritirato una sorella infortunatasi, che aveva già un ginocchio anchilosato e non parlava più. A casa ha ripreso subito la parola con qualche speranza.
Concludendo, considero prioritario il dare sostegno ai familiari e il combattere lo stigma della demenza, divulgato talvolta anche da volantini e libri solo catastrofici. Idee negative sono presenti anche in alcuni medici che parlano davanti al malato come se questi non capisse niente. Temo esista un circolo vizioso tra familiari che generalizzano e assolutizzano i momenti di confusione mentale del malato e alcuni medici che attribuiscono a questi racconti una patente pseudoscientifica, senza contestualizzare e relativizzare la nascita di certe convinzioni. Se dobbiamo mantenere attive le capacità residue, è su queste che dobbiamo sempre porre l’attenzione.
Io amo credere che il malato di Alzheimer capisce e, sino alla fine, almeno sulla relazione affettiva, ha sensibilità, anche quando non può comunicarla.
(Una socia dell’Amas, Associazione Malattia Alzheimer Sardegna)
21 gennaio 2009. Il Presidente Obama
Washington D.C. - E infine ce l’ha fatta. In una giornata di sole, ma dal freddo pungente, Barack Obama è diventato oggi ufficialmente il 44° presidente degli Stati Uniti, davanti a una folla entusiasta calcolata tra il milione e i due milioni di persone. Americani di ogni origine e provenienza hanno letteralmente sopportato ogni genere di privazione e una organizzazione che ha decisamente lasciato a desiderare, per essere presenti sul National Mall nel momento in cui Barack Hussein Obama giurava sulla Bibbia di Lincoln la propria fedeltà alla nazione.
Già la prima metropolitana della mattina, con partenza alle quattro, era stracolma di gente, mentre migliaia di altri pellegrini riempivano le strade di Washington ben prima del sorgere del sole. Con temperature decisamente sotto zero, e un vento malvagio, i molti maglioni infilati uno sopra all’altro e i molteplici calzetti, non sembravano riscaldare nessuno. In una ripetizione del concerto di domenica al Lincoln Memorial, la completa mancanza di segnaletica stradale che indicasse alla gente dove dovesse incanalarsi a seconda dei vari tipi di biglietti ricevuti ha portato molti a lunghe attese invano nelle file sbagliate. Non c’era praticamente nessun luogo in cui si potesse acquistare una bottiglietta d’acqua o un pezzo di pane e, per grandi tratti del National Mall, non si trovava un gabinetto chimico nemmeno a pagarlo. Più di una persona è svenuta per ipotermia e malori vari e ha dovuto lasciare l’evento prima della conclusione, dopo aver sopportato una lunghissima attesa.
Eppure, nonostante le difficoltà, un pubblico gioioso di giovani e vecchi, donne e uomini, dai mille colori e dalle mille fedi religiose, non ha smesso per un attimo di godere dell’opportunità di partecipare in prima persona a questo pezzo importante di storia americana. E alla conclusione del discorso del nuovo Presidente Obama, tutti all’unisono hanno riconosciuto che ne era valsa la pena, della alzataccia mattutina, dei piedi doloranti, delle dita congelate, e delle lunghe code.
Va sottolineato che il pubblico si è comportato in maniera davvero esemplare. L’atmosfera di ottimismo, energia e collaborazione che ha regnato per tutto il corso della giornata, un’atmosfera in cui pochi provavano a saltare la fila e in cui tutti hanno atteso con pazienza e gentilezza che ogni momento della giornata arrivasse a compimento, ha permesso a questa cerimonia di diventare davvero una grande festa.
E Obama ha ringraziato con classe, con un discorso di poca retorica e molta sostanza, sobrio per via delle circostanze in cui la sua presidenza comincia -tra la crisi economica e le guerre in Iraq e Afghanistan- e volto a invitare tutti i milioni di cittadini presenti a rendere servizio alla nazione e a impegnarsi per il bene comune con un rinnovato entusiasmo. Barack Obama, accompagnato dalla moglie Michelle e dalle figlie Malia e Sasha, ha anche ringraziato la folla in delirio percorrendo a piedi alcuni tratti della parata che lo ha portato dal Campidoglio alla Casa Bianca, e lasciandosi andare a sorrisi che parevano di sincera emozione, ma anche di vera soddisfazione.
Questa sera i grandi gala e domani l’Amministrazione Obama si mette davvero al lavoro. George W. Bush è già in Texas, partito in elicottero durante la mattinata e salutato dai fischi del pubblico.
Intanto il nuovo sito della Casa Bianca è già online (www.whitehouse.gov) con un aspetto nuovo e ringiovanito e il primo blog della storia presidenziale.
(http://valentinainamerica.wordpress.com)
30 gennaio 2009. Tra Israele e Hamas
Dopo 22 giorni di bombardamento e l’invasione dell’esercito israeliano, purtroppo pare che la popolazione palestinese sia destinata a continuare a tribolare a causa del terrore che sta seminando Hamas. Il primo a denunciare le angherie del braccio armato del movimento islamista è stato un giornalista palestinese dell’emittente francese Radio 24, riuscito miracolosamente a lasciare la Striscia grazie all’aiuto di un collega francese.
Anche nei giorni scorsi alcune Ong palestinesi hanno denunciato un preoccupante moltiplicarsi delle rappresaglie di Hamas contro membri di Fatah o chiunque loro individuino come “collaborazionista col nemico” volte a scoraggiare qualsiasi velleità di contestazione che potrebbe emergere ora che vige questo intermittente cessate-il-fuoco. Intanto aumentano i racconti di civili palestinesi rimasti intrappolati tra l’aggressione israeliana e la repressione di Hamas.
Il centro Addameer ed il Centro Palestinese per i diritti dell’uomo hanno segnalato che decine di palestinesi sarebbero stati attaccati dai servizi di sicurezza di Hamas durante e dopo l’offensiva israeliana.
Un avvocato di Addameer, oltre ad aver denunciato decine di casi di estorsioni in tutto il territorio durante e dopo la guerra e gravi violazioni dei diritti dell’uomo, afferma di avere raccolto le prove dell’esecuzione di dieci prigionieri accusati di “collaborazionismo”, questo dopo che la prigione era stata colpita da un bombardamento israeliano. Uno di loro, Saleh Hajouj, sarebbe stato ucciso davanti all’ospedale Chifa di Gaza, dove era stato trasportato. L’impressione è che in assenza di un governo funzionante, Hamas si sia messo a saldare i suoi conti per la strada. Altre testimonianze accusano i servizi di sicurezza di Hamas di recarsi presso il domicilio dei loro sospettati per poi arrestarli, ferirli, o fare esecuzioni sommarie.
Tra le vittime di questo inquietante “servizio di sicurezza” ci sarebbe anche Oussama Attalah, un insegnante di 50 anni, membro di Fatah, prelevato una notte dalla propria abitazione e ritrovato all’obitorio dell’ospedale Chifa.
La famiglia Najjar ha avuto una visita simile il 4 gennaio. Individui mascherati si sono presentati all’ora di cena: Hicham Najjar, 51 anni, membro di Fatah, è stato ucciso e dieci membri della sua famiglia, fra cui una bambina di sette anni ed una donna di 70 anni, feriti.
M. A. Boumendil, l’autore dell’articolo, conclude con una nota di ottimismo per le qualità di negoziatore del nuovo inviato Usa, George Mitchell, che potrebbe riuscire a giocare in positivo due elementi psicologici determinanti: se infatti i dirigenti di Hamas capiscono di avere una minima chance di essere riconosciuti come interlocutori, è probabile che almeno formalmente abbandoneranno alcune rigidità delle loro posizioni, come gli aspetti più discutibili della loro condotta. Al contempo, se Israele avverte che l’impunità riservatale dalla comunità internazionale non sarà eterna, non avranno altra scelta che collaborare alla ricerca di una soluzione negoziata.
(www.algerieactuel.com)
5 febbraio 2009
Pubblichiamo l’appello del Naga all’indomani dell’odiosa abolizione da parte del Senato del divieto di segnalazione dei cittadini stranieri che si rivolgono alle strutture sanitarie.
Il Senato ha approvato l’abolizione del divieto di segnalazione all’autorità dei cittadini stranieri irregolari che si rivolgono alle strutture sanitarie. Così il diritto alla salute non è più un diritto assoluto e fondamentale, preminente e indipendente rispetto alla condizione giuridica relativa della persona.
“Con la decisione del Senato di oggi un ramo del Parlamento italiano stabilisce che il diritto alle cure mediche è un diritto esclusivo dei cittadini italiani o dei cittadini stranieri in possesso del permesso di soggiorno e non un diritto di tutte le persone in quanto tali, peraltro in contraddizione patente con l’art. 32 della Costituzione che parla di individui”, afferma Pietro Massarotto, presidente del Naga, “ciò oltre a comportare una distorsione di fondo del ruolo sociale del medico e oltre ad essere in palese contrasto con il codice deontologico -che obbliga il medico a curare chiunque indipendentemente dalla sua condizione amministrativa- segna un’ulteriore e davvero drammatica tappa nel processo di criminalizzazione dell’immigrazione nonché l’ennesima involuzione politica e culturale del nostro paese”. Il Naga manifesta la sua estrema preoccupazione per quanto deciso; ci auguriamo e auspichiamo pratiche di disobbedienza civile da parte dei medici oltre ad una reazione collettiva perché discriminazioni come quella approvata stamani non passino, quanto meno, sotto silenzio. Il Naga, da parte sua, continuerà ad assistere e curare tutti i cittadini stranieri irregolari che si recheranno presso i nostri servizi e a denunciare, non loro, ma ogni violazione dei diritti fondamentali della persona.
(www.naga.it)
6 febbraio 2009. Soldati suicidi
A distanza di una settimana dalla pubblicazione, da parte dell’Esercito americano, dei dati sui suicidi avvenuti tra i soldati durante il 2008, aumentano le preoccupazioni per i numeri che si stanno registrando con l’inizio del nuovo anno. Se i rapporti fossero confermati, risulterebbe che in questo primo mese i soldati che si sono suicidati superano quelli morti in combattimento. Nel corso del solo gennaio il numero dei soldati suicidi è 24. Dati “terrificanti” anche nelle parole dei vertici dell’esercito. Che qualcuno imputa al freddo dei mesi invernali, qualcun altro all’uso massiccio di antidepressivi per via dello stigma che rimane per chi chiede l’aiuto psicologico.
I numeri del 2008 parlano di 128 suicidi, a cui vanno sommati 15 casi irrisolti.
(www.cnn.com)
7 febbraio 2009
Sull’International Herald Tribune del 4 febbraio Isabel Kershner e Taghreed El-Khodary raccontano che l’Unrwa (United Nations Relief and Works Agency), l’agenzia che fornisce aiuto e assistenza ai profughi palestinesi, ha denunciato la polizia di Hamas per aver sottratto da un deposito cibo e altri beni destinati ai palestinesi. Nello specifico sarebbero state confiscate 3500 coperte e 400 pacchi di cibo, destinati alle famiglie di Gaza. Pare che l’incidente sia accaduto dopo che lo staff dell’Unrwa ha rifiutato di far passare gli aiuti per il Ministero degli Affari Sociali di Hamas. Il ministro ha reagito incredulo alla notizia, ma ha accennato ad alcune tensioni tra i militanti e l’agenzia per il modo in cui quest’ultima opera. Nello specifico la preoccupazione è che l’Unrwa si appoggi a Ong che avrebbero “un’agenda politica” (diversa da quella di Hamas, evidentemente).
Un ministro e un portavoce israeliano non hanno fatto attendere le loro manifestazioni di appoggio e solidarietà all’agenzia Onu. In realtà i rapporti tra Israele e l’Unrwa non sono meno tesi da quando è stata bombardata una scuola dell’Onu e uccisi 43 palestinesi. Israele afferma di aver reagito all’attacco di Hamas, ma i funzionari Onu hanno categoricamente negato la presenza di militanti nella loro sede.
Altrettanto inspiegabile resta l’attacco israeliano alla casa del dottor Izzeldin Abuelaish, un medico molto conosciuto e stimato, anche per il suo impegno per la riconciliazione, che ha provocato la morte di tre delle sue figlie e di una nipote. In un messaggio trasmesso alla tv israeliana, il dottor Abuelaish -parlando in ebraico- ha ringraziato gli israeliani per aver condotto un’indagine seria (che ha portato i militari a riconoscere, più o meno, l’errore) e ha aggiunto che spera che tali errori non abbiano a ripetersi.
(www.iht.com)
8 febbraio 2009. Studenti africani
“Con cinque mesi di ritardo, questa settimana sono ripresi i corsi all’università di Ouagadougou, a lungo paralizzata dallo sciopero degli insegnanti. Gli studenti si apprestano a riprendere le loro abitudini: alzarsi alle cinque per riuscire a prendersi un posto a un corso che comincia alle otto”. Così esordisce un articolo di Brigitte Perucca, pubblicato in questi giorni su Le Monde, in cui si fa il punto sulla scolarizzazione in Africa, dove dal 1980 gli studenti si sono più che quintuplicati, sia nelle aree francofone che in quelle anglofone. Solo dal 1991 al 2004 in Nigeria il numero degli studenti è passato da 207.982 a 1.289.656, in Etiopia da 34.076 a 172.111 e in Ghana da 13.700 a 70.000. Intanto a Ouagadougou in attesa che parta la nuova università, Ouaga-II, si è pensato di adottare un modello di replicazione dei corsi, per cui un docente dovrà tenere un doppio, se non triplo, corso per ciascun livello. Questo campus del Burkina Faso è un po’ l’emblema della condizione delle università in Africa: drammaticamente sovraffollate e incapaci di fornire la preparazione adeguata.
Questo stesso sovraffollamento è però indice di un istruzione secondaria che vede accedere sempre più ragazzini. L’Africa anglofona, per arginare il fenomeno, ha optato per un aumento delle tasse e per una selezione in entrata. Le università dell’Africa francofona, per il momento, puntano ad assorbire il maggior numero di studenti. Sul piano dell’equità, una scelta senz’altro ammirevole, più discutibile su quello della qualità, che si sta irrimediabilmente abbassando.
L’altra nota dolente di questa buona notizia è che anche in Africa le università rischiano di diventare fucine di disoccupati. Già ora il 25% dei diplomati sono disoccupati e il 30% sovra-qualificati rispetto all’impiego svolto. Si arriva così al paradosso messo in luce dal prof. Koulidiati commentando il dato per cui il 5% dei giovani del Burkina Faso va all’università. Troppo pochi e al contempo troppi.
(www.lemonde.fr)
9 febbraio 2009. Sull’alimentazione forzata
Per favore, togliete dagli altari Caterina da Siena e le altre centinaia di “sante anoressiche”, che offesero mortalmente Dio prendendosi tutta la loro libertà sul proprio corpo, consumandolo implacabilmente fino alla morte in mesi e anni di digiuno.
10 febbraio 2009. Sull’alimentazione forzata
Ma vorremmo sapere questo da Veltroni: quale sarebbe lo scandalo dell’attacco di Berlusconi alla Costituzione? Lo scontro con Napolitano sui poteri del premier o l’attacco alla libertà fondamentale del cittadino di decidere della propria vita? Perché ha dato la sgradevole sensazione che enfatizzasse il primo aspetto per non pronunciarsi sul secondo. Nel caso vorremmo essere chiari: se si rinuncia a dir la propria, che per la sinistra non può che essere una professione di libertà, in nome di un calcolo elettorale per cui uno più uno doveva, e deve, fare trenta; oppure, peggio: perché si sono incontrate due forze che non credono, e non hanno mai creduto, nella maturità del cittadino, ma in una sua minorità, che lo Stato, in concordato con la Chiesa, deve supportare; bene, in entrambi i casi non potremmo che augurarci la fine del partito democratico.
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