"Forse tra cinquant’anni, quando sarò appollaiato su una nuvoletta, mi daranno ragione. Ma per adesso vengo ritenuto un anomalo, un eterodosso”. Diceva così l’economista Paolo Sylos Labini nel libro intervista al giornalista di Repubblica Roberto Petrini. Dall’uscita del testo (Un paese a civiltà limitata, Laterza) sono passati nove anni, e da cinque Sylos se n’è andato sulla nuvoletta, ma già oggi, senza aspettare mezzo secolo, la sua impronta è forte, il rimpianto vivissimo. Si è visto lunedì 15 marzo al Piccolo Eliseo di Roma, alla lettura scenica dell’intervista fatta da Neri Marcorè. Ingresso libero, lunghe code di gente tanto che molti non sono riusciti a entrare, prolungati applausi che non andavano soltanto al bravissimo Marcorè e all’allestimento di Cristina Comencini, ma innanzitutto a lui, l’uomo di sinistra che non ha mai creduto in Marx, che per primo ha avuto il coraggio di segnalare il declino anche numerico della classe operaia in Italia, a costo di farsi bollare come "economista borghese”.
Per molti è stato un grande maestro, anche per me. L’ho incontrato più volte per interviste e colloqui. Ne intuivo il coraggio intellettuale, la lucidità, l’intelligenza vigile che non l’ha mai abbandonato: fino all’ultimo si è battuto contro il degrado del Paese incarnato dal berlusconismo, ma anche per stimolare a sinistra quella revisione critica che gli ex comunisti hanno sempre disinvoltamente eluso. Lo appassionavano le nuove battaglie. Quando fondai una rivista che si occupava di economia del Mezzogiorno mi diede qualche consiglio e mi disse "Collaborerei volentieri, se non mi fosse caduta addosso questa malattia...” Quale malattia, professore? "La vecchiaia!”, mi rispose lui, classe 1920, ridendo con i suoi occhi vispi.
Eppure, solo ieri sera posso dire di aver capito fino in fondo l’importanza della sua lezione. L’intervista/spettacolo ha ripercorso la sua storia: da ragazzo innamorato delle tecnologie che vuole fare ingegneria ma non può permetterselo perché il padre, liberale antifascista, ha perso il lavoro e gli chiede di ripiegare sulla più breve laurea in giurisprudenza, poi la specializzazione economica negli Stati Uniti, a contatto con Gaetano Salvemini e Joseph Schumpeter. Tornato in Italia, Sylos conosce Ernesto Rossi e si avvicina al nobile filone del liberalismo di sinistra del Mondo. Ma anziché assumere come altri un atteggiamento elitario, si butta nel dibattito di sinistra a fianco di altri economisti come Giorgio Fuà, si confronta con la Cgil e il Pci, vive da vicino l’esperienza della programmazione economica con Ugo la Malfa e Giorgio Ruffolo.
Il suo successo come giovane e brillante economista provoca le gelosie dei baroni che tardano a concedergli un riconoscimento accademico fino a quando, nel 1962, gli viene finalmente assegnata la cattedra di Economia Politica alla Sapienza di Roma. I suoi studi hanno valore internazionale, come gli riconosce il premio Nobel Paul Samuelson in un messaggio per i suoi 75 anni: "Gli economisti di tutto il mondo ti ammirano...”.
I suoi messaggi non li mandava a dire: nel 1974 si dimise dal Comitato tecnico scientifico del Ministero del Bilancio perché il Ministro Andreotti aveva nominato sottosegretario Salvo Lima, plurindagato per mafia. Protestò anche con il presidente del consiglio Aldo Moro. "Lima è troppo forte e pericoloso”, gli rispose Moro, che sapeva scivolar via dai problemi. Contro il berlusconismo Sylos fu altrettanto duro, anche se negli ultimi anni confessava il suo sconforto per l’involuzione italiana. Amante del jazz, descriveva l’Italia degli anni Duemila come un brano di Duke Ellington: "Blue Indigo”, due colori, il blu e l’indaco, che segnalano insieme tristezza e passione.
Le sue battaglie più appassionate di "socialista liberale” Sylos le combattè sul fronte delle idee. Considerava Nicolò Machiavelli, Karl Marx e Benedetto Croce responsabili a vario titolo dei mali italiani. Marx, che oltre a tutto era un uomo privo di principi morali (cosa difficile da accettare per uomo di valori intemerati come Sylos) aveva provocato nella sinistra italiana "danni tremendi”. Ci sarebbe voluta un’autocritica, che il machiavellismo imperante impedì ai comunisti e agli ex comunisti. Sul fronte opposto, i danni li aveva fatti Croce che, sulle orme di Vico, aveva creato una filosofia che era in realtà "la fabbrica del fumo”: filofesserie, come diceva Salvemini.
Insomma, Paolo Sylos Labini era un uomo scomodo per tutti. Ci manca.
(www.donatosperoni.it)