Nel momento in cui, nel decimo anniversario dell’11 settembre, riflettiamo sulle immagini strazianti e ispiratrici di coloro che per primi hanno prestato soccorso, il mio pensiero va a Kurt Vonnegut, che ha sempre avuto un’altissima considerazione dei pompieri, nella vita e nell’arte.
Nell’ottobre 2001, lo scrittore si unì alla gente del suo quartiere di East Side Manhattan per una veglia a lume di candela a Dag Hammarskjold Plaza per commemorare i ragazzi della stazione locale, Motore 8, Scala 2, Battaglione 8, morti nelle Torri Gemelle.
Quella notte Vonnegut ricordò come quegli uomini, meno di due anni prima, avessero salvato la sua vita, quando il fumo e le fiamme causate da una sigaretta vagante avevano invaso la sua casa di Turtle Bay.

"Non ho osato chiedere se adesso qualcuno di loro sia morto” disse, prima di elencare solennemente i nomi degli uomini che avevamo perduto fino a quel momento, dieci in totale. "Comandante Tom DeAngelis, cinquant’anni. Capitano Fred Ill, quarantasette. Pompiere Mike Clarke, ventisette, il piccolo del gruppo… Tutti, a parte due, lasciano moglie e figli”.L’identificazione di Vonnegut con questi funzionari pubblici era stretta e aveva radici profonde. I riferimenti alla loro fermezza, professionalità ed eroismo, sono un tema costante che percorre cinquant’anni di romanzi e racconti.
I pompieri simboleggiavano l’etica del buon vicinato e del mutuo soccorso caratteristica del Midwest americano che Vonnegut aveva imparato a conoscere crescendo ad Indianapolis. L’apprezzamento per il lavoro che svolgevano trovò conferma quando da giovane fece una terribile esperienza. Il romanzo del 1965 Dio la benedica, signor Rosewater1, libro popolare soprattutto tra i giovani idealisti di quel decennio, ruota attorno a un alter-ego che patrocina con entusiasmo gli "affratellati”2 che prestano servizio nelle stazioni di ogni città e villaggio della nazione.

Al pari dell’autore, Eliot Rosewater è un veterano di guerra traumatizzato della seconda guerra mondiale. Non potrà mai dimenticare come, trascinato all’interno di un complesso industriale tedesco, avesse caricato con la baionetta e, nel caos, ucciso tre civili, "semplici abitanti di quel villaggio, impegnati nel compito coraggioso e inequivocabile di impedire a un edificio di combinarsi con l’ossigeno”.3 Tornato a casa, Eliot consacra la vita a scendere a patti con il senso di colpa per trasformare, in onore dei morti, l’orrore in guarigione. La sua ammirazione per i pompieri come modelli di civismo ha un senso. "[Q]uando suona l’allarme”, scrive Vonnegut, "sono quasi gli unici esempi di entusiasmo altruistico che si possano vedere in questo paese”.4

Si precipitano al salvataggio di qualsiasi essere umano, a sprezzo della loro stessa vita. L’uomo più miserabile della città, se la sua miserabile casa prendesse fuoco, vedrà i suoi nemici impegnati a spegnere l’incendio […] In questo caso, noi abbiamo  persone che fanno tesoro degli esseri umani in quanto esseri umani.5

Kurt Vonnegut conobbe la carneficina della guerra in modo diverso rispetto a Eliot Rosewater, ma non per questo restò meno segnato dall’esperienza. Insieme a un gruppo di commilitoni americani prigionieri, come ricorda nel suo libro più famoso, Mattatoio n. 5 (1969), era sopravvissuto all’attacco aereo su Dresda del 13 febbraio 1945, grazie a un casuale e miracoloso colpo di fortuna: la protezione del porcile sotterraneo adibito a caserma. Negli anni a venire avrebbe insistito sul fatto che il raid su Dresda era stato immotivato visto che quelle erano le ultime fasi della guerra, un prodotto dell’inerzia e della cieca vendetta. Una delle caratteristiche più diaboliche di quell’attacco, ricordava, era stato lo sganciamento di ordigni esplosivi prima delle bombe incendiarie, un piano progettato per impedire alle squadre di emergenza di intervenire. Fu un disegno terribile nella sua efficacia. Quando gli incendi cominciarono a divampare, non ci fu quasi nessuno a sedarli. Dopo la guerra, Vonnegut lavorò alla General Electric di Schenectady, nello Stato di New York. Come Eliot, prestò servizio da pompiere volontario (distintivo #155) nel vicino villaggio di Alplaus, dove viveva con la famiglia. La sua fu la missione di un sopravvissuto, il suo omaggio a Dresda. Durante la cerimonia del 2001, Vonnegut continuò a leggere la lista di coloro che erano deceduti l’11 settembre, elencando i nomi di battesimo per renderli più umani, per riconoscerli in quanto famiglia. "Tom, Fred, Mike, Dennis, George, Dan, ancora Tom, Carl, ancora Dennis. Grazie signori. Dio vi benedica. Amen”.

Un uomo il cui tormentato umanesimo includeva concetti come la fratellanza universale, metteva in guardia chi lo ascoltava dalle tentazioni di vendetta. Aveva capito che sono sempre i più indifesi a soffrire nella guerra moderna e che gli attacchi aerei sono sempre tragicamente imprecisi. Vonnegut sapeva, come pochi altri americani, cosa significasse trovarsi sotto un bombardamento, che cosa implicassero le operazioni di pulizia. Concluse le sue osservazioni ricordando coloro che soffrivano lontano da New York. "È giorno in Afghanistan. Ci sono incendi indesiderati da quelle parti e molti, molti uomini stanno tentando di spegnerli”.

Kurt Vonnegut rimase in contatto con la stazione di Alplaus fino alla fine dei suoi giorni. Quando morì, nell’aprile del 2007, all’età di ottantaquattro anni, la campane suonarono con una cadenza di 5-5-5, l’omaggio tradizionale a un fratello caduto. Di tutti i tributi che giunsero da ogni parte del mondo per il famoso scrittore, questo forse è quello che avrebbe apprezzato di più.

(Traduzione di Massimo Balloni)

* Gregory Sumner è autore di Unstuck in Time: A Journey through Kurt Vonnegut’s Life and Novels, in uscita a novembre per la Seven Stories Press di New York.



Note
1 Vonnegut, Kurt, Dio la benedica, signor Rosewater: ovvero Le Perle ai porci, trad. di Roberta Rambelli, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1973.
2 Ivi, p. 29.
3 Ivi, p. 79.
4 Ivi, p. 230.
5 Ibid.
6 Vonnegut, Kurt, Mattatoio n. 5, o la crociata dei bambini: danza obbligata con la morte, trad. di Luigi Brioschi, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1970.