Ho pensato spesso ad Havel negli ultimi tumultuosi dodici mesi, nel corso di quello che Time magazine ha recentemente definito "L’anno dei manifestanti”. Il martirio di un fruttivendolo di Tunisi ha dato il via alla cosiddetta "Primavera Araba”, con tutti i suoi pericoli e le sue promesse.
Il "morbo” della ribellione alle vecchie e ingessate strutture di potere, portato avanti dai giovani e facilitato dai mezzi di comunicazione digitale che non erano disponibili ai tempi delle rivoluzioni di Havel, si è diffuso contagiando realtà molto diverse come Londra e Barcellona, Tel Aviv e Roma e ha infine contribuito all’emergere, negli Stati Uniti, del movimento "Occupy Wall Street”. Come ripeteva Havel, i fermenti si sviluppano sempre lontani dalla vista. Anche in tempi di stasi, la Storia è piena di sorprese. La manifestazione dell’aspirazione a qualcosa di più democratico, di più vicino ai bisogni umani, può scoppiare nei luoghi più impensati. "La società è una creatura molto misteriosa -osservò il nuovo presidente in un discorso al suo popolo, da poco libero, nel Capodanno del 1990- non è saggio fidarsi della sola facciata visibile”. Nessuno sa come evolveranno questi movimenti, con tutte le loro contraddizioni. Havel oggi ci spronerebbe, con le parole e con l’esempio, a fare tutto quello che possiamo per dare forma alla loro energia ribelle, per incanalarla in modo non violento e costruttivo, verso la costruzione di ponti, rimanendo fedeli ai principi fondanti.
Dopo la sua morte, avvenuta a dicembre, ho passato in rassegna testi che non leggevo da vent’anni -Lettere ad Olga, Disturbando la pace, Lettere aperte- e sono stato felice di ritrovarli intatti nella loro onestà, nello humour sottile e ironico. Lo spirito ottimista, ma ferocemente antiutopico, di Havel continua a vivere, oltre l’assurdo palcoscenico dove il commediografo si trovò a vivere nel grigiore del regime comunista "post-totalitario”. Havel aveva capito che le patologie e l’inerzia che avevano colpito il mondo attorno a lui negli anni 70 e 80 non erano altro che un caso estremo di una crisi culturale molto più vasta: l’alienazione delle persone dal proprio lavoro, lo straniamento dalla propria comunità, dalla propria famiglia, dai propri ideali, in breve dalle cose che rendono la vita degna di essere vissuta.
La sua testimonianza, a distanza di trent’anni, ha ancora qualcosa da dire alla nostra ipertecnologica società consumista di oggi:
È come se dopo gli shock della storia recente... le persone avessero perso ogni fiducia nel futuro, nella possibilità di intervenire positivamente nella realtà, nel significato della lotta per la verità e la giustizia. Si scrollano di dosso tutto quello che esula le loro preoccupazioni quotidiane, di routine, per la loro esistenza; cercano vie di fuga; soccombono all’apatia, all’indifferenza per i valori sovrapersonali e per i loro compagni, alla passività spirituale e alla depressione.
Ciò che è potenzialmente più eccitante delle manifestazioni dell’anno trascorso è proprio la sfida a questa apatia, il mo ...[continua]
Esegui il login per visualizzare il testo completo.
Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!