I repubblicani e i loro alleati conservatori insistono nel dire che il razzismo è cosa del passato. Ma il loro partito è ancora il bastione dell’attivismo anti-gay, anti-immigrati, anti-neri e anti-femminismo. È dai tempi della Grande Depressione che la sua base elettorale, la classe medio-bassa, non attraversa tempi così duri. Il Presidente George W. Bush li ha lasciati con due guerre fallimentari in Iraq e in Afghanistan, con lo scoppio della bolla dei mutui sub-prime e con il crollo del mercato dei derivati nel 2007. E poi, come se non bastasse, è arrivata la sconfitta elettorale del 2008 che ha portato il primo presidente nero degli Stati Uniti. Gli errori militari all’estero, il collasso economico in patria e la bruciante umiliazione politica hanno alimentato il testardo radicalismo e il gretto risentimento di quello che sarebbe diventato nel 2009 il Tea Party. Le tradizionali élite liberiste si sono mescolate con i populisti di destra, mentre il nuovo movimento adottava una linea politica fondata sulla riabilitazione della religione nella vita quotidiana, sulla saggezza popolare e sull’iniziativa individuale, sui valori della comunità e sul nazionalismo. Vestendo costumi dell’epoca della Rivoluzione e cappelli a tricorno, interrompendo incontri cittadini incentrati sulla sanità e altre tematiche sociali, maltrattando i rappresentanti progressisti al Congresso e facendo i loro propri comizi, una nuova generazione di attivisti reazionari chiede una "rivoluzione” -per quanto, naturalmente, una rivoluzione che protegga i loro privilegi e interessi.
Il Tea Party ha prosperato nel Sud e nel Mid-West. I suoi sostenitori non vivono in città, ma piuttosto in zone rurali e nei sobborghi, aree omogenee e chiuse in se stesse. Hanno poca simpatia per i sindacati o per il carattere cosmopolita della vita in città. Questi distretti, bisognerebbe notarlo, hanno sempre votato in maniera più conservatrice e avuto opinioni più tradizionaliste che altrove. Nella loro gerarchia la società si divide tra veri capitalisti e dipendenti, i loro membri sono a larghissima maggioranza bianchi, di classe medio-bassa, proprietari di piccole imprese, imprenditori indipendenti e decisamente contrari ai sindacati. Sono istruiti ma pieni di risentimento verso i tipi della Ivy-League, verso la vita di città e le dinamiche cosmopolite della modernità. Mancano del capitale culturale e sociale degli strati professionali più elevati di cui disprezzano stile e privilegi. Guadagnano in genere più della media nazionale, ma non si sentono sicuri per il futuro -economicamente, culturalmente o politicamente.
Nel Tea Party ci sono le persone che si sentono minacciate dal progresso. Condannano la globalizzazione, lo stato burocratico, il pluralismo e la visione scientifica ...[continua]
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