1 aprile 2012. Quote rosa
Le cosiddette "affirmative actions”, le azioni positive per favorire categorie sfavorite in partenza, suscitano da sempre perplessità anche tra gli stessi soggetti interessati. Giovanni Sabato, in un breve articolo su "Le Scienze” di marzo riprende il tema per segnalare un interessante esperimento in corso in India dal 1993 che ha visto l’introduzione di quote rosa nei consigli di alcuni villaggi. Il risultato è stato incoraggiante, forse più per gli effetti collaterali, pare infatti che dopo due cicli elettorali le aspirazioni sociali e politiche delle giovani (e anche dei loro genitori) siano cresciute di molto "e con conseguenze concrete: meno tempo dedicato ai lavori domestici e risultati scolastici pari a quelli maschili”. (Le Scienze)
4 aprile 2012. Produttività
Da tempo si sente dire che i paesi dell’Europa meridionale hanno un problema di produttività. In Grecia, Portogallo, Spagna e Italia i lavoratori hanno un tasso di produttività per ora lavorata inferiore alla media europea. La situazione è particolarmente grave per Grecia e Portogallo. A lungo si è spiegato tutto questo con il fatto che gli europei meridionali non lavoravano abbastanza duramente rispetto ai settentrionali. Ora però prende sempre più consistenza l’ipotesi che all’origine ci sia il numero di addetti all’agricoltura, un settore a bassa produttività. In effetti in Grecia ben il 12% della popolazione è impiegato nell’agricoltura o nella pesca, mentre solo il 2% lo è in Germania.
L’Italia si attesta sul 4%, ma se si considera il Sud la percentuale cresce significativamente. Insomma, per quanto la vita di campagna susciti sempre un certo fascino, resta il fatto che è sinonimo di bassa produttività. Pertanto, prosegue Matthew Dalton, giornalista del "Wall Street Journal”, il fatto che molti greci siano tornati a fare gli agricoltori non è una buona notizia.
D’altra parte, cosa si può fare? Forse sarebbe opportuno ripensare i sussidi. Qualcosa è già in corso, anche se non tutti sembrano consapevoli del fatto che rendere un’azienda agricola più produttiva vuol dire anche ridurre gli addetti e quindi la popolazione che vive in campagna.
In fondo, conclude Dalton, la gente lascia la campagna perché in città i salari sono più alti. Perché l’Unione europea dovrebbe usare dei fondi per combattere questa tendenza?
(wsj.com)
5 aprile 2012. Uffici di collocamento
Riceviamo e pubblichiamo.
Buongiorno. Pensate un po’: qui da noi perfino il vicepresidente di una piccola bocciofila viene eletto, dopo lunghe lotte e dopo infinite discussioni, dai partiti politici. Che ormai sono diventati veri e propri "uffici di collocamento”. Guardiamo cosa succede in un paese caratterizzato da una cultura meno "mediterranea”. In settembre si dovrà eleggere il nuovo Governatore della banca centrale della Nuova Zelanda. Lì a quanto pare non è un problema di lotta politica (beati loro!). Hanno fatto un’inserzione sull’Economist e hanno dato l’incarico a una società di cacciatori di teste di selezionare i candidati che sappiano svolgere nel modo migliore quell’incarico. (Giancarlo Pagliarini)
6 aprile 2012. Francesi a Londra
500.000 francesi sui 2,5 milioni che vivono all’estero si preparano a dire la loro nelle elezioni presidenziali ormai imminenti. La percentuale di votanti registrati nel mondo intero è raddoppiata da un’elezione all’altra, passando da 125.000 nel 2002, a 250.000 nel 2007, a 500.000 in questa tornata del 2012, allorché verranno eletti, per la prima volta, rappresentanti degli emigrati anche all’Assemblea Nazionale e non più solo al Senato, com’era prima.
A seguito della legge costituzionale del 23 luglio 2008, infatti, i francesi residenti all’estero eleggeranno 11 rappresentanti al Parlamento francese da 11 circoscrizioni mondiali diverse. Tra queste, quella del Nord Europa, comprendente 10 paesi, vanta l’80% di residenti in Gran Bretagna e, tra questi, l’80% a Londra che, con i suoi 300.000 residenti francesi accertati e 400.000 stimati, è ritenuta da tempo la sesta città francese. Per dare un’idea, gli italiani residenti ufficialmente a Londra in pianta stabile non superano le 50.000 unità e le stime più ottimistiche non arrivano a contarne 100.000 considerando anche quelli non registrati e di passaggio nei momenti di picco.
Un fenomeno che ha attirato l’attenzione della stampa mondiale (ne hanno parlato l’Economist, il Guardian, le Figaro, il New York Times, fra gli altri). L’afflusso di cittadini francesi nella capitale inglese, per altro, non accenna a diminuire e il loro voto potrebbe anche condizionare i risultati finali in un’eventuale situazione di stallo in queste o in future elezioni. Con i suoi 102.470 votanti registrati in queste elezioni 2012, "Parigi sul Tamigi”, come viene scherzosamente definita dai francesi di Francia, Londra potrebbe eleggere, o contribuire grandemente a eleggere, un proprio parlamentare a Parigi.
Non sorprende, quindi, che tutti i principali candidati alla corsa presidenziale si siano recati, o fatti rappresentare, ultimamente, per un motivo o per l’altro, a Londra, per corteggiare questo significativo bacino di utenza elettorale. In passato, quando il voto era concentrato nelle ex colonie o espresso da persone che tendevano naturalmente a destra per tradizione, età e ceto sociale privilegiato, queste elezioni favorivano il candidato di destra; ultimo a beneficiarne lo stesso Sarkozy nel 2007, allorché superò Ségolène Royal 54% contro 46% fra gli elettori residenti all’estero.
Questo non è più scontato oggi per i motivi che vedremo e i sondaggi danno, sì, Sarkozy sempre in testa ma solo di un paio di punti percentuali e in via di erosione, allineando questi numeri alle proiezioni in patria. Il dato più rilevante, tuttavia, è che questo nuovo elettorato è costituito da soggetti sotto i 40 anni. Tanti impiegati nella City in campo finanziario, ma molti altri nei settori più disparati con una forte presenza, ovviamente, nella ristorazione, ma anche in campo accademico-culturale, moda e pubbliche relazioni. Tutti si professano aperti a nuove esperienze e opportunità fuori dagli schemi e dall’eccesso di regole e adempimenti burocratici vero o percepito del pervasivo e centralizzato stato francese. Le donne con figli piccoli affermano, a loro volta, di trovare nei numerosi parchi e nel verde diffuso della capitale britannica un ambiente più consono alla crescita dei figli che in Francia. E, a questo scopo, non mancano, o sono in via di allestimento, scuole e infrastrutture di supporto e sviluppo per questa crescente comunità francofona, che ormai numericamente è la prima dal punto di vista nazionale-linguistico a Londra.
A un paio di ore di treno dalla Francia grazie al tunnel sotto la Manica, voli e traghetti low cost, i giovani francesi ormai guardano a Londra come a una piattaforma di lancio per le loro ambizioni e avventure, anche imprenditoriali, nel mondo globalizzato, in grado di fungere al tempo stesso da laboratorio linguistico, fucina di nuove idee e iniziative e occasione di fuga da una realtà tanto affascinante quanto, a detta di tanti intervistati, rigida e implacabile come quella francese, dove soltanto il 30% dei ricchi si è fatto da solo contro l’80% dei lori omologhi britannici. E dove conta più il passato e i titoli di studio formali e aver frequentato la scuola giusta, che il presente, il futuro e la voglia di fare e di essere apprezzati per quello che si è.
Un segno inequivocabile di maggiore dinamismo e mobilità sociale che spiegherebbe, almeno in parte, l’attrazione che Londra continua a esercitare su un numero sempre crescente di giovani francesi che vengono per restare, spiccare il volo verso mete più lontane o tornare a tempo debito in Francia con un bagaglio di esperienze professionali e di vita spendibile anche a casa propria. (Giovanni Maragno)
6 aprile 2012. Un tumore indolente
Nell’ultimo numero de "Le Scienze”, Marc B. Garnick, oncologo esperto di tumore alla prostata della Harvard Medical School, dedica un lungo e denso articolo al dibattito sul senso e l’efficacia degli screening oncologici per l’individuazione di questo tumore.
Da tempo, negli Stati Uniti, e non solo, se ne discute, ma lo scorso inverno la Us Preventive Service Task Force (Uspstf), che si occupa di valutare l’efficacia dei servizi clinici di prevenzione, ha lanciato quella che Garnick ha definito una "bomba” sostenendo che i maschi in salute dovrebbero sospendere i controlli perché i potenziali benefici non compensano i rischi reali di terapie anche molto invasive e dagli effetti non garantiti. Il test del Psa infatti non ci dice che una persona ha un tumore, ma solo che potrebbe averlo. Solo la biopsia segnala la presenza di un tumore, ma anche qui: non è detto che il tumore sia pericoloso.
Già nel 2008 la Uspstf aveva raccomandato ai medici di interrompere i test agli over-75 anni asintomatici. I dati infatti dimostravano che a quell’età gli uomini con un tumore alla prostata hanno maggiori probabilità di morire di qualcos’altro. Ma a dirimere la questione sono soprattutto i rischi legati alla cura. Sinteticamente, l’intervento chirurgico causa incontinenza urinaria e impotenza; la radioterapia danneggia retto e vescica causando sanguinamento rettale e perdite fecali; per non parlare degli altri effetti, non meno rilevanti, come calo del desiderio, aumento di peso, vampate di calore, ecc.
Sono poi seguiti due studi (uno europeo e uno americano), da cui è risultato che gli uomini testati e quindi curati non vivevano più a lungo. Non solo: è emerso che l’Nns (number needed to screen), cioè quanti uomini bisognerebbe sottoporre a screening per prevenire un unico caso di morte da tumore alla prostata è di 1400.
Garnick racconta che già nel 1996 un suo paziente di 54 anni, il cui Psa era risultato alto, dopo essersi documentato da solo, aveva deciso -contro le sue raccomandazioni- di rinunciare a qualsiasi terapia. Oggi il suo livello di Psa è cresciuto, ma lentamente. In fondo, riconosce oggi Garnick, il suo paziente "aveva preso una decisione ponderata, evitando di barattare danni quasi certi con benefici incerti”.
All’epoca, tra l’altro, non si sapeva quello che si sa oggi e cioè che il tumore prostatico può avere un decorso molto differenziato. Aumentano infatti i casi di tumori "indolenti” che crescono così lentamente da non rendere necessaria alcuna cura per molto tempo, e forse per sempre. Di qui l’idea di un approccio che vada oltre il dilemma "curare o non curare” e che consiste in una sorta di "vigile attesa” o meglio di una "sorveglianza attiva con posticipo terapeutico”. In pratica il paziente non rinuncia alle terapie, ma le posticipa al momento in cui i sintomi indicano chiaramente la necessità di un intervento di qualche tipo. I dati indicano che il risultato non è influenzato negativamente dal ritardo. La partita, conclude Garnick ora passa ai medici: "Dobbiamo essere sempre chiari, con noi stessi e i pazienti, su quello che sappiamo davvero dal punto di vista scientifico... dobbiamo avere il coraggio di agire sulla base delle prove, non solo delle nostre convinzioni”.
(Le Scienze)
7 aprile 2012. Libertà di stampa
Lo scorso mercoledì l’Autorità palestinese ha imprigionato il giornalista Yousef al-Shayab per un articolo in cui, in base a fonti anonime, lanciava pesanti accuse alla missione diplomatica in Francia dell’Anp (coinvolta, a suo dire, nel reclutare gruppi di studenti per lo spionaggio di musulmani al fine di trasmettere informazioni ai servizi di sicurezza palestinesi e stranieri con il beneplacito del ministro degli Esteri dell’Anp, Riad Malki). All’indomani dell’arresto i giornalisti palestinesi hanno manifestato davanti al palazzo di giustizia a Ramallah in segno di protesta. Al-Shayab d’altra parte non è il primo. Il 31 gennaio è stato arrestato anche Rami Samara, trattenuto per quasi quattro ore, per aver scritto un commento critico sulla sua pagina Facebook sui negoziati dell’Olp con Israele avvenuti ad Amman. Osama Silwadi, giornalista palestinese indipendente e fotografo, ha sarcasticamente fatto notare che la detenzione di al-Shayab è avvenuta nella stessa settimana in cui l’Anp annunciava l’annuale "Premio per la libertà di stampa” che si terrà a maggio.
I territori palestinesi, tra cui la Cisgiordania e la Striscia di Gaza controllata da Hamas, si sono classificati 153° su 179 nella lista dei "Reporters sans frontières” sulla libertà di stampa 2011-2012. L’rsf ha incluso le forze di sicurezza dell’Anp nella sua lista 2010 dei "Quaranta predatori della libertà di stampa”, insieme all’esercito israeliano e alle forze di Hamas a Gaza.
(www.palestinarossa.it)
8 aprile 2012. Crisi e pena capitale
Sulla "Stampa” è comparso un articolo dal tono trionfalistico di Paolo Mastrolilli: "L’Italia mette in crisi il boia negli Usa”. Articolo in cui si afferma che "dopo il blocco alle importazioni dal nostro paese l’iniezione letale costa 15 volte di più [...]. Le esecuzioni negli Stati Uniti diminuiscono, anche perché stanno diventando molto più costose e complicate”.
In effetti, le condanne a morte americane sono precipitate dalle 320 del 1999 all’ottantina del 2011, mentre le esecuzioni (che si riferiscono a delitti di dieci, venti o anche trent’anni fa) si sono più che dimezzate, passando da 98 a 43; però, sulla base della mia quarantennale esperienza, trovo difficile porre -fra le ragioni della crisi della pena capitale statunitense- l’aumento del costo dei farmaci mortali.
Molti fattori hanno cospirato nel creare il profondo malessere della pena capitale americana: la drastica diminuzione degli omicidi che sono passati dai 25.000 del 1991 ai 15.000 di oggi (in Italia abbiamo fatto molto meglio, ma nessuno ne parla); un diffuso scetticismo delle giurie che, dopo aver visto dozzine di condannati innocenti uscire dalle galere, sono meno inclini ad accettare le tesi della Procura; una stanchezza generale che ha portato 4 stati a chiudere con la pena di morte; la crisi economica che ha ridotto le risorse a disposizione delle Procure.
Infatti il costo di un processo capitale è decisamente molto più alto di quello di un processo normale (senza considerare che il 96% delle condanne è ottenuto con il patteggiamento) e solo una parte degli accusati è condannata a morte. Poi ci sono i lunghi e costosi appelli che riducono il numero dei condannati e così ognuna delle 1.289 esecuzioni americane è costata una "paccata” di dollari.
Ogni uccisione americana ha pesato sul contribuente per parecchi milioni. In Florida ogni cottura sulla sedia elettrica, alla fiamma o al sangue, 24 milioni di dollari. In Ohio 50. In California più di 300. Non credo proprio sia stato qualche spicciolo ad aver messo in crisi il boia americano. (Claudio Giusti)
12 aprile 2012. Oggi niente compiti
Nonostante dal 1956 una circolare abbia bandito in Francia i compiti a casa per le scuole elementari, pare che le maestre non ne vogliano sapere di abbandonare quest’abitudine. Ora però i genitori iniziano a essere stufi. Per loro la cosa è semplice: o i bambini riescono a seguire la lezione e a fare gli esercizi in classe, o -se non ci riescono- non si capisce come possano farlo a casa, senza l’insegnante.
"I bambini devono far vedere a casa quello che hanno fatto a scuola, non far vedere a scuola quello che hanno fatto a casa”, si legge in un blog aperto per raccogliere la protesta e alcune testimonianze. Nel settembre del 1995, François Bayrou, ministro dell’Istruzione, tornò sul tema per ribadire che qualsiasi compito o esercitazione scritta andava fatta in classe. E questo per una questione di uguaglianza. Al massimo, a casa, i bambini possono leggere qualcosa. Dopo che la riforma ha portato a una riduzione dei giorni di scuola materna e delle ore settimanali, molte maestre si sono però viste costrette a dar qualcosa da fare anche a casa. La maggiore obiezione oggi resta quella del ministro Bayrou: visto che non tutti i genitori hanno le stesse possibilità (linguistiche, materiali, di tempo, di competenza, ecc.) i compiti a casa rischiano di produrre un’ingiusta "selezione”, andando a penalizzare i bambini meno fortunati, con il rischio che la scuola finisca indirettamente per stigmatizzare i genitori che non sono in grado di seguire i figli. Tra l’altro proprio i bambini che hanno meno risorse (pensiamo a chi non ha in casa un’enciclopedia o un computer) sono condannati a trascorrere più tempo alle prese con questi compiti a casa.
(http://cesoirpasdedevoirs.blogspot.it)
13 aprile 2012. Ignoranza letale
Negli anni 80 e 90 l’Aids ha colpito la Romania in modo devastante. Dell’entità del dramma si è saputo solo dopo l’89, con il crollo del regime comunista. All’epoca i rumeni rimasero sconvolti dalle notizie a lungo occultate da media imbavagliati, anche perché tra le vittime c’erano tanti bambini rimasti infetti negli ospedali a causa di carenti controlli sulle trasfusioni. Molti di quei bambini vennero a conoscenza della propria malattia solo più in là negli anni, a volte per caso. Negli ultimi vent’anni la situazione è radicalmente cambiata, anche grazie alle intense proteste dei familiari delle vittime. Le terapie oggi sono gratuite e accessibili, tanto che la Romania viene portata ad esempio per i paesi che oggi lottano contro la diffusione dell’Hiv. E tuttavia, racconta "The Economist”, c’è ancora un cospicuo numero di romeni che non sa di avere l’Hiv. La cosa è particolarmente grave perché la generazione "infettata” negli anni 80 e 90 oggi è in età riproduttiva. Come non bastasse, a causa della crisi, i fondi per le campagne pubbliche di sensibilizzazione sono stati tagliati. Gli operatori del settore avvertono che ora che la Romania è un membro dell’Ue, questo rappresenta un rischio non solo per i rumeni, ma anche per i paesi vicini. Angela Achitei, dell’associazione Alaturi de Voi (Vicino a te), ricorda che "l’Hiv non ha confini” e che proprio i rumeni che lavorano all’estero sono particolarmente a rischio perché spesso non accedono al servizio sanitario. (economist.com)
18 aprile 2012. Occupy
Quando, a febbraio, gli occupanti dell’area accanto alla Cattedrale St. Paul sono stati cacciati, hanno pensato di trasferirsi in Finsbury Square, dove un altro gruppo del movimento aveva allestito un piccolo campo di tende.
Sul "Wall Street Journal”, Jenny Gross ha pubblicato un breve articolo sulle inattese difficoltà di questa convivenza non programmata. Il fatto è che il gruppo di Finsbury Square pare abbia stilato una rigorosa lista di norme che regolano il modo di cucinare ma anche il volume della musica, così, quando, dall’altra parte della piazza, i nuovi arrivati hanno cominciato ad organizzare le proprie serate accendendo falò e mettendosi a ballare con la musica a tutto volume, sono iniziati i problemi.
Quelli di Finsbury non si sono limitati a protestare, uno è arrivato e ha gettato un secchio d’acqua sul fuoco. Quelli di St. Paul non ci potevano credere: "Questi fanno più leggi di quelli al governo”, ha sbottato uno. Insomma, sembrava di assistere a delle gag della "strana coppia”, ha commentato Jenny Gross.
Certo, il gruppo di Finsbury Square si è rivelato anomalo fin dall’inizio: ci sono le segnaletiche antincendio, al pomeriggio si beve il tè e la cena viene servita alle sette in punto; non è permesso cucinare dopo le dieci di sera e la musica va spenta entro le undici; nelle aiuole vengono coltivati spinaci, carote, carciofi e porri. Ai bordi del campo, una scritta spiega: "Questa non è una protesta. Questo è un processo”.
L’accampamento alla St. Paul era tutta un’altra cosa: notti in bianco, mattinate a dormire, pulizie sommarie. Nessuna sorpresa dunque che la convivenza si sia rivelata subito difficoltosa. Uno degli attivisti cacciati da St. Paul lamenta che quello di Finsbury Square è un villaggio ecologico più che un campo di protesta e che così non si cambia il mondo. Quelli di Finsbury, dal canto loro, accusano gli altri di trascorrere il tempo bevendo e organizzando feste. Ora i due gruppi stanno mettendo a punto una serie di compromessi: qualche sera è concesso suonare la musica anche dopo le undici, però chi disturba e crea problemi va allontanato. Intanto in cucina è comparso un cartello rivolto ai nuovi arrivati: "Questo non è un campeggio di vacanzieri, ma la residenza di attivisti e dimostranti”.
(wsj.com)
20 aprile 2012. Convivenza
Meg Jay, psicologa, ha dedicato un breve articolo ai lati oscuri della convivenza prematrimoniale. Negli Usa, la convivenza è aumentata del 1500% negli ultimi 50 anni passando dalle 45.000 coppie non sposate che vivevano assieme negli anni 60 ai sette milioni e mezzo di oggi. La rivoluzione sessuale e il controllo delle nascite hanno fatto la loro parte e oggi la possibilità di dividere le spese contribuisce a far optare per questa soluzione. Per quanto oggi si continui a pensare che la vita assieme sia un buon test, questa credenza pare essere smentita dall’esperienza. Le coppie che hanno convissuto pare infatti siano più inclini al divorzio. Tra l’altro se passare dal vivere assieme al matrimonio è facile, non lo è dividersi. Intanto c’è il dato economico che può essere tanto rilevante da creare una situazione di imprigionamento, non solo perché ci sono gli amici condivisi, perfino gli animali domestici condivisi, ma soprattutto perché separarsi comporta dei costi per qualcuno insostenibili. In pratica i partner non possono "permettersi” di continuare da soli.
Si chiama "cohabitation effect”. Se prima si pensava che l’origine di questa situazione stesse nel fatto che chi convive ha meno remore anche rispetto alla separazione, oggi l’idea è che la causa invece risieda nella convivenza stessa e in particolare nell’assenza di un passaggio, di un rito, in cui i partner esplicitano i motivi per cui vogliono stare assieme. (nytimes.com)
21 aprile 2012. Vecchi
Nel Regno Unito sono in corso tagli significativi sul piano dell’assistenza agli anziani: si riducono i fondi agli enti locali e intanto le case di cura riducono il personale. Qualcuno ha già messo in guardia sul fatto che questo piano potrebbe essere controproducente perché alla fine porterà negli ospedali le persone che non possono vivere nella propria abitazione senza un supporto.
L’Associazione dei direttori dei servizi sociali per adulti ha calcolato un taglio al budget di un miliardo di sterline lo scorso anno e non è finita qui. Intanto negli ultimi sei anni la popolazione over 85 è aumentata di 250.000 unità. I comuni cercano di risparmiare da altre parti, ma quasi nessuno è esente dai tagli. "The Independent” ha condotto un’indagine da cui è risultato che molti Consigli comunali stanno tagliando pesantemente e sono costretti a chiedere un contributo agli anziani e alle famiglie e comunque a ridurre il personale addetto all’assistenza. Solo nel Lincolnshire, che entro il 2015 deve recuperare 39 milioni di sterline, sono state chiuse otto case di cura. A Birmingham e altrove stanno studiando sistemi di "telecare” grazie ai quali la persona possa attivare un servizio in caso di bisogno. Il governo ha promesso di pubblicare un Libro bianco su questa problematica. Liz Kendall, ministro ombra per l’assistenza sociale e gli anziani ha denunciato come il sistema sia ormai al collasso e che gli interventi in corso risulteranno ancora più gravosi appunto perché più anziani saranno costretti a essere ricoverati negli ospedali. Così ne va, non solo della salute della popolazione più vulnerabile, ma anche della sua dignità, ha aggiunto Michelle Mitchell, direttore generale di Age UK. L’assistenza sociale infatti permette alle persone di lavarsi, mangiare e mantenere delle relazioni. Oggi ci sono circa 800.000 anziani in difficoltà che non accedono a un aiuto né statale né privato. (independent.co.uk)
21 aprile 2012. Disoccupati
Nel Regno Unito, più di un milione di persone è senza lavoro da oltre un anno e nei prossimi mesi altre centomila entreranno in questa categoria. I disoccupati di lungo termine sono il lato nascosto di questa crisi di cui si stenta a vedere la fine. Le previsioni sono allarmanti: due terzi delle persone attualmente fuori dal mercato del lavoro verosimilmente non troverà lavoro nei prossimi due anni. Ed è risaputo che più si sta fuori, più è difficile poi rientrare.
(guardian.co.uk)
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