Cari amici,
in questi giorni mi è capitato di pensare spesso a come funziona il Partito Comunista Cinese, e di rendermi conto che la maggior parte delle
persone ha un’idea un po’ falsata di quello che è veramente. Per esempio: sappiamo tutti che il web cinese è pesantemente censurato, e che alcune parole-chiave bloccano i motori di ricerca, oppure che se si prova ad utilizzarle sugli equivalenti di Twitter cinesi (in Cina Twitter, come Facebook, sono inaccessibili, per cui si usano cloni locali maggiormente controllabili dai censori di Internet) i propri messaggi vengono cancellati. Fin qui, tutto risaputo. Però alcune parole dovrebbero attirare l’attenzione: va bene (si fa per dire) che non si possa scrivere "libertà di espressione”, per esempio, ma vi siete mai chiesti perché la parola "costituzionalismo” sia tabù? Il motivo è che in Cina per "costituzionalismo” si intende qualcosa di molto specifico, ovvero assoggettare il Partito Comunista alla Costituzione cinese.
Questo è quasi blasfemo: il Partito è al di sopra della legge: quando ci sono dei membri del Partito che compiono abusi legali tali da essere considerati inaccettabili anche dal Partito stesso, prima di essere portati davanti a una Corte (che deve giurare, prima di essere operativa, di obbedire al Partito), il membro in questione deve essere espulso dal Partito. Se è ancora membro tesserato, niente processo, solo una Commissione Interna di Disciplina, che pensa a quale sanzione applicare, se ciò fosse considerato necessario.
Ma c’è di più. Quando si è membri del Partito -oggi gli iscritti sono circa 83 milioni- si ha accesso a molte occasioni, sia lavorative che di l’alloggio, per esempio, fino al tipo di scuola dove si possono mandare i figli, o il tipo di ospedale in cui si viene curati.
Di recente mi sono data una nuova regola: quando intervisto qualcuno, che sia un riformista politico, un’analista finanziario, un giornalista, uno studente o anche un commerciante, prima di salutare chiedo sempre: "Scusi, lei è nel Partito?” Meraviglia! Tantissimi lo sono. Quelli che dicono quanto la politica cinese sia diversa da come l’intendono "gli occidentali” (tutti insieme appassionatamente); quelli che dicono che c’è tanto più pluralismo in Cina di quanto quegli stessi occidentali non pensino, ecc., va’ a chiedergli e sono tutti membri del Partito. Per cui, la loro buona fede, o la loro chiarezza d’analisi, va presa con un po’ di buonsenso. E poi c’è la ben nota sindrome di Stoccolma, che colpisce tanti cinesi -membri del Partito, principalmente, ma non solo.
Una mia amica di Guangzhou mi raccontava l’altro giorno di suo padre, che era stato espulso dal Partito dopo il 1989, e che è morto da poco.
Mentre cercava di fare ordine fra le carte che aveva lasciato, ha trovato decine e decine di copie di lettere di sua mano, in cui chiedeva al Partito di riaccettarlo fra i suoi membri. Si scusava, lui, per gli errori che l’avevano portato ad essere espulso. Lei era inorridita dal suo tono umile. Anno dopo anno, non ha mai nemmeno ricevuto risposta, ma non demordeva: "Sono felice di avere di nuovo l’onore di scrivervi”, cominciava una lettera. "L’idea che leggerete queste parole mi riempie di gioia e di orgoglio”, cominciava un’altra. Poi, non richiedeva mai scuse, riparazioni, o che altro. Solo di essere di nuovo ammesso, di come la sua vita fuori dall’unica "famiglia” che riconoscesse come tale fosse invivibile.
Il giorno prima del suo funerale, si presenta a casa della mia amica un rappresentante del Partito di Guangzhou, e dice: "Vorremmo offrire al compagno Pan l’onore di essere interrato avvolto nella bandiera comunista”. Lei si è infuriata e gli ha risposto: "Almeno adesso che è morto, volete lasciarmelo in pace, per favore!”, e lo ha pregato di uscire di casa.
Non voglio commentare questa storia, non ne ha bisogno. Ma un’altra piccola gemma ve la racconto: a Hong Kong, diciassette anni dopo che è tornata sotto la sovranità di Pechino, il Partito continua a essere "clandestino”. Ho chiesto a un commentatore politico "pro-Pechino” (cioè pro-governo cinese) come mai fosse così, e lui, prendendola un po’ larga, mi ha risposto: "Il Partito è nato come una società segreta, agli inizi del secolo scorso. E così è rimasto: quello che fa il Partito, deve essere giudicato dal Partito. A Hong Kong i partiti politici devono essere registrati come aziende, o come gruppi non a scopo di lucro, ma una volta registrati sono sottomessi alle leggi che governano le aziende. Questo è impensabile! Meglio rimanere clandestini, continuare ad operare lontano da una supervisione esterna, dato che questo dà meno nell’occhio, e non suscita l’inquietudine della popolazione”. Così. Senza nemmeno abbozzare, che so io, una giustificazione, una spiegazione.
Meglio lavorare nella segretezza. Perché il Partito ha sempre ragione.
Ilaria Maria Sala
LETTERA DALLA CINA - 203
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Ilaria Maria Sala, giornalista, vive a Hong Kong, scrive per Le Monde, Diario e il Sole 24 ore. Recentemente ha pubblicato Il Dio dell’Asia, Il Saggiatore, 2005.Partiamo dalla Cina. Si parla molto del boom economico, ma la popolazione come sta reagendo a ...
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