"Mi avvicino alla finestra (vetri antiproiettile, che a qualcuno non venga in mente di spararti così non ci si pensa più) e guardo fuori. Un mucchio di gente che va e viene, con mille problemi e mille pensieri. Ehi voi come siete lontani! Mille vite che si consumano così, in una quotidianità senza fine". A parlare è Carla, di cui, in ultima, una madre ci racconta qualcosa. E a noi, passando di fronte a quelle finestre, è mai capitato di pensare alle lotte terribili che di là da quei vetri si combattevano? Di quante storie stavano finendo senza "poter essere raccontate"? E vien da chiedersi che vita sia diventata la nostra se non riusciamo più neanche ad accorgerci degli occhi del moribondo che ci osservano.
Noi non sappiamo cosa sia bene per il problema, la proposta di Manconi qui sotto sembra ragionevole, soprattutto per non arrivare a quel "fondo", dal quale, certo, non si può che risalire ma dal quale troppo spesso è semplicemente troppo tardi per risalire. Ma di sicuro è assurdo pensare a questi ragazzi come appendici inerti di qualcosa, muti. Nelle scelte che hanno fatto, nelle conseguenze che hanno pagato, hanno affrontato qualcosa di più grande di tutti noi, qualcosa per tutti noi. E nel loro silenzio ci parlano e potremmo ascoltarli se solo ci fosse occasione. "E te ne stai qui con il naso spiaccicato contro un vetro pieno di virus, aspettando il miracolo, come la donna che invecchia aspettando il ritorno del suo guerriero dalla battaglia di sangue, piena di un amore che chissà se mai ancora potrà liberare ed offrire. Certo che il guerriero tornerà!". Per Carla quel miracolo non è venuto e il guerriero, forse l'unico che le fosse capitato in sorte, era già morto su una spiaggia di Ceylon. Ma forse, a un prezzo assurdo e lei sì, in gran fretta, ha miracolosamente ritrovato se stessa in quella "prossimità" così banale e quotidiana, che spesso per noi, che passiamo in fretta sotto quelle finestre, è tanto scontata e gratis. Ma pur sempre a portata di mano.