Cari amici,
vi avevo detto in una delle mie ultime lettere che volevo andare a Pechino, ma non l’avevo fatto perché l’inquinamento oltre tutti i segnali d’allarme me ne aveva tolto il desiderio. Sono riuscita ad andarci, invece, proprio nei giorni della chiusura dell’Assemblea Nazionale del Popolo, a rimanerci anche per il periodo in cui Michelle Obama era in visita. Risultato: un bel cielo blu, un’aria frizzante pre-primaverile, e traffico quasi sopportabile­ per me. Per chi vive e lavora a Pechino e dintorni, invece, si trattava di giornate sì più respirabili, ma molto più complesse: per non disturbare i delegati nazionali all’Assemblea, le macchine non potevano circolare in centro; molte aziende erano state chiuse per la durata dell’Assemblea e della visita della First Lady americana. C’era anche una significativa presenza di polizia per le strade, in borghese e in divisa. E internet funzionava peggio del solito, a singhiozzo e a rilento anche per chi si era premunito di Vpn, un sistema per scavalcare la censura internet facendo finta di collegarsi da fuori la Cina.
Non so se ve l’ho già detto, ma in Cina le vacanze, o le chiusure forzate per motivi di questo tipo, non sono semplicemente, per l’appunto, una vacanza, ma diventano una serie di feste e fine settimana persi: se una festività cade in un giorno lavorativo, infatti, è prassi che venga "recuperato” lavorando la domenica, o, trattandosi di fabbriche, la notte. Stessa cosa per le giornate di chiusura coatta che vengono dunque recuperate dicendo addio ai sabato e domenica tranquilli in famiglia o in gita. È un lamentarsi continuo, ma non ci si può fare niente, la legge è quella e quindi le domeniche sono la valuta con la quale si pagano le feste. Egoisticamente, però, non mi sono potuta lamentare della cosa, godendomi per l’appunto i cieli blu e perfino le prime bibite all’aperto ai tavolini di bar e ristoranti. Ma erano anche le giornate in cui la notizia del Boeing 777 della Malaysia Airlines scomparso con 153 passeggeri cinesi a bordo riverberava per la Cina, e le conversazioni, come è ovvio, non potevano mai spostarsi troppo da questo tema. Ognuno aveva la sua teoria. Quando la stampa e internet sono controllati e censurati come lo sono in Cina, non vi è modo di sventolare al sole i pensieri balzani lasciando che l’aria fresca li neutralizzi: crescono a dismisura nella testa delle persone, disposte a credere alle teorie più improponibili. C’è chi, con tutta serietà, ti guarda dritto negli occhi e dice che l’aereo se lo sono preso gli alieni. O che gli americani hanno sparato un missile e non osano dirlo ­o i cinesi, o gli indiani, a seconda. O che sono stati terroristi i islamici, o anche che si è trattato di un gesto di disprezzo nei confronti della Cina, da parte della Malaysia, che ha dispute territoriali e marittime con Pechino. Certo non aiutava che l’aereo fosse svanito senza lasciare traccia e che le notizie che arrivavano fossero così bizzarre: passeggeri con passaporti falsi, copiloti che erano soliti invitare ragazze nella cabina di controllo, segnali radar che non captano nulla e sistema di comunicazione a terra disabilitato manualmente.
I parenti dei passeggeri dispersi erano tenuti all’Hotel Lido, ­un hotel storico: è uno dei primi alberghi internazionali della Cina; era stato aperto dalla catena Holiday Inn, ma proprio quest’anno l’ha ricomprato un gruppo cinese, il Metro Park. E per motivi difficili da capire o condividere, i parenti erano dunque tenuti tutti lì, tutti insieme, tutti a vivere minuto per minuto l’angoscia loro e quella degli altri. Ogni giorno venivano giornalisti che li intervistavano, funzionari della Malaysia Airways che aggiornavano sul nulla, e funzionari cinesi.
Quando sono andata via, i parenti stavano marciando diretti all’ambasciata malese, pieni di rabbia e di furia e di insulti contro l’intera Malaysia. Le giornate passate tutti insieme li avevano estenuati e l’ultimo ricorso era, di nuovo, il nazionalismo, come se potesse servire a qualcosa contro il dolore. Intanto, il cielo era ridiventato grigio: chiusa l’Assemblea, partita Michelle.

Ilaria Maria Sala
Hong Kong