Da New York hai sicuramente una percezione diversa del dibattito sulla crisi con l’Iraq. Cosa pensi stia per succedere?
Penso stia per succedere esattamente quello che Bush dice che succederà e cioè che gli Usa attaccheranno l’Iraq per cambiarne il regime. E’ questo che Bush pensa di fare e credo che lo farà. Noi europei siamo abituati a pensare con molto cinismo e crediamo che alla base dello scoppio di un conflitto ci siano sempre ragioni geo-economiche, “il petrolio” insomma. Questo elemento ovviamente c’è, soprattutto in un caso come quello dell’Iraq: esiste, infatti, un problema reale che riguarda le riserve di petrolio. Il paese con le maggiori riserve è l’Arabia Saudita, ma gli americani dopo l’11 settembre sono molto preoccupati per la stabilità del regno saudita e temono che da un momento all’altro la famiglia reale possa cadere o possa prevalere un’ala oltranzista; quindi pensano sia fondamentale avere in un Iraq che ha enormi riserve di petrolio un paese amico . Tale aspetto quindi c’è e sarà proprio questo, alla fine, a convincere la Russia e la Francia ad appoggiare un intervento. Però c’è un altro elemento, a mio avviso molto più forte e determinante, ed è quello ideologico. Il gruppo di consiglieri che ruota attorno a Bush è convinto che domani si possa installare in Iraq una democrazia, anzi, che l’Iraq possa diventare un avamposto della democrazia in Medio Oriente. Lo dice la Rice e lo dice Paul Wolfowitz. Loro sono fermamente convinti, cioè, che la libertà e la democrazia si possano esportare sulla punta delle baionette come 200 anni fa tentò di fare Napoleone. Mi sembra straordinario: questo gruppo di persone rappresenta l’ultimo regno dell’ideologia. Sì, Washington e la destra americana sono l’ultimo posto al mondo dove gli hegeliani sono sopravvissuti.
Ma questa è un’idea solo di Bush e dei suoi consiglieri o è condivisa negli Stati Uniti?
No, per ora non è così diffusa, ma i sondaggi sono difficilissimi da interpretare. C’è molta gente, ad esempio fra i democratici, che non è convinta per niente della necessità di fare la guerra.
Pensi che Bush e i suoi stiano sbagliando i loro conti?
Fare previsioni sulla guerra e su come finirà è impossibile, io lo eviterei.
D’accordo sullo sviluppo degli eventi imminenti, ma tale ideologia non può comunque essere gravida di conseguenze nefaste sul lungo periodo?
Questa ideologia mi sembra una follia! Noi pensavamo che Hegel, applicato alla politica, fosse morto con la morte del comunismo e invece viene applicato qui, negli Usa...
Badate che gente tipo Wolfowitz usa argomenti che noi di sinistra potremmo condividere. Dicono che l’America non può assistere passivamente al fatto che nel mondo si compiano gravissime ingiustizie, perché questa nazione ha la missione di difendere la libertà, la giustizia e la democrazia nel mondo; ebbene, anche noi abbiamo detto che non si poteva stare a guardare Milosevic assassinare impunemente, senza intervenire, i bosniaci prima e gli albanesi kossovari poi. E avevamo ragione di dirlo. Qual è la differenza fra andare contro Milosevic e andare contro Saddam? La differenza è politica. Saddam è l’esempio di un dittatore che è stato reso innocuo con una politica di contenimento. Dalla guerra del Golfo ad oggi Saddam non può fare niente. La politica ha funzionato. Nel Kurdistan iracheno i curdi vivono una stagione di straordinaria libertà, praticamente sono indipendenti senza aver dichiarato l’indipendenza; hanno i loro partiti, il loro parlamento, un loro potere, un loro benessere... Forse, addirittura, per accelerare la caduta di Saddam, sarebbe stato più saggio alleggerire le sanzioni.
Perché allora gli vanno contro? Perché con una decisione ideologica hanno stabilito che Saddam è il nemico numero uno. Perché proprio lui non sono in grado di capirlo.
L’impressione è che l’Iraq non sia che la prima tappa, si sente parlare di Iran, di Siria...
Certo. E’ Napoleone Bonaparte, l’ho detto. L’Iraq è il primo, poi c’è la Siria, poi c’è l’Iran, poi c’è Arafat... Wolfowitz dice una cosa semplice: chi ha detto che non si può imporre la democrazia con la forza delle armi? L’abbiamo fatto nel ‘45 con il Giappone e guardate come ha funzionato bene. Certo, dice lui, il Giappone non è una democrazia liberale jeffersoniana, ma è un modello di democrazia in Asia. Perché non dovremmo farlo in Iraq e in Iran domani? Non è facile rispondere a questo tipo di argomenti, se ...[continua]
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